E se la riduzione della calotta polare fosse di origine geotermica? Se le emissioni di CO2 non c’entrassero niente? O, comunque, svolgessero un ruolo ancora da determinare?
Una spedizione scientifica, diretta dal dott. Robert A. Reves-Sohn della Woods Hole Oceanographic Institution e finanziata dalla NASA, ha fatto delle scoperte che potrebbero rimettere in discussione il ruolo delle azioni umane nello scioglimento della calotta polare.
Telecamere robotizzate, inviate a 4000 metri sotto gli eterni ghiacci dell’Artico, hanno rilevato un’enorme attività vulcanica. I risultati, riportati dall’autorevole rivista Nature, evidenziano la presenza di decine di vulcani che rigurgitano, alla velocità di 500 m/sec, magma, in quelle gelide acque.
Secondo il professor Adriano Mazzarella, dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, questa enorme energia geotermica, che periodicamente si riversa nel mare sotto i ghiacciai dell’Artico, potrebbe essere la causa della “variabilità areale dei ghiacciai artici”. Per il professore, la diminuzione della banchisa potrebbe dipendere proprio dall’attività di questi vulcani sottomarini.
Questa scoperta crea una breccia nelle nostre attuali certezze. Ma non per questo va demonizzata. Scopo della scienza non è quello di confermare delle idee preconcette, ma di farci capire la realtà in cui viviamo e la giusta correlazione tra i fenomeni.
Se questa tesi fosse confermata, la nostra convinzione di influenzare in maniera così rilevante le sorti del pianeta non sarebbe altro che un peccato di presunzione.
Marco Di Mico