Processo Mediaset, i giudici inviano gli atti alla Consulta

Il legale del premier Niccolò Ghedini

Il processo sui diritti televisivi di Mediaset a carico, tra gli altri, di Silvio Berlusconi è stato sospeso. Come già accaduto venerdì scorso per il procedimento sul caso David Mills -che vede imputato il solo Berlusconi per corruzione- i giudici della prima sezione del Tribunale penale di Milano hanno deciso di sollevare quesiti di incostituzionalità sulla norma del legittimo impedimento e di inviare gli atti alla Corte Costituzionale. Anche in questo caso, quindi, il processo è sospeso a tempo indeterminato. Il collegio, presieduto dal giudice Edoardo D’Avossa, spiega che la legge del 7 aprile 2010 avrebbe dovuto essere varata attraverso l’iter costituzionale -e non, come invece è avvenuto, attraverso l’iter ordinario- e che, in attesa della pronuncia della Consulta, è impossibile stralciare la posizione del Presidente del Consiglio da quella degli altri imputati per non spezzare l’unitarietà del dibattimento. Critica la posizione di Niccolò Ghedini, legale del premier. L’avvocato infatti dichiara che quella sul legittimo impedimento è “una legge dello Stato che non vuole essere applicata dai giudici”. “Il nostro obiettivo -prosegue Ghedini- è fare il processo e essere assolti e per questo avevamo offerto un calendario concordato. Il processo, comunque, non ricomincerà da capo, nulla del passato verrà perso e la prescrizione è sospesa”. Per il difensore di Berlusconi l’iniziativa dei giudici milanesi non è comunque una sorpresa, soprattutto dopo l’analogo provvedimento preso dalle toghe per il procedimento Mills pochi giorni fa. “La decisione di oggi era scontata -conclude Ghedini- Il nostro interesse era quello di proseguire nel dibattimento tenendo conto però, di tutti gli impegni istituzionali del Presidente del Consiglio. Ma i giudici milanesi i processi non ce li lasciano fare”.
Nell’ordinanza con cui il collegio ha inviato gli atti alla Corte Costituzionale, si legge che la norma sul legittimo impedimento “stabilisce a priori e in modo vincolante che la titolarità e l’esercizio di funzioni pubbliche costituiscono sempre legittimo impedimento per rilevanti periodi di tempo, prescindendo da qualsiasi valutazione del caso concreto”. La legge si traduce così nell’istituzione di “una vera e propria prerogativa dei titolari delle cariche pubbliche diretta a tutelarne non già il diritto di difesa nel processo bensì lo status o la funzione”. La norma potrebbe dunque violare l’articolo 138 della Costituzione che regola la revisione delle leggi costituzionali e preclude “ogni possibilità di correlazione tra singola udienza e specifico impegno, il che si traduce nel privare il giudice del potere-dovere di verifica della sussistenza dell’impedimento”.

Tatiana Della Carità