La pubblicazione del World Economic Outlook Database del Fondo Monetario Internazionale (aprile 2010) ci permette di fare il punto sulla situazione e le prospettive dell’economia italiana dopo la Grande Recessione del 2008-2009. I dati macroeconomici del Fondo certificano ancora una volta una realtà ben diversa dalla retorica governativa spesso acriticamente divulgata dai mezzi di informazione.
Come NENS da tempo sostiene numeri alla mano, l’Italia non ha affatto retto meglio degli altri Paesi la crisi. Secondo i dati del Fondo nel biennio 2008-2009 la performance del nostro Paese è stata la peggiore tra le grandi economie avanzate, a pari (de)merito con il Giappone: in soli 24 mesi l’Italia ha “bruciato” 6,3 punti di Prodotto Interno Lordo, a fronte di un calo di 3,5 punti nella Zona Euro, 4,4 punti nel Regno Unito, 2,2 punti in Canada e 2,6 punti negli Stati Uniti. Quanto alle previsioni per il futuro, la ripresa italiana si conferma piuttosto asfittica: 2 punti nel biennio 2010-2011 (+0,8 per cento nel 2010 e +1,2 per cento nel 2011) e 5,7 punti nel quadriennio 2012-2015. Sono i dati peggiori tra le grandi economie (con l’eccezione della Spagna nel biennio 2010-2011), purtroppo in linea con l’andamento deludente della nostra economia negli ultimi dieci anni.
Nel 2009 il PIL italiano è tornato indietro di ben 9 anni, scendendo al livello del 2000. E’ un arretramento senza paragoni con gli altri grandi Paesi: nella zona Euro la Grande Recessione ha provocato un passo indietro di 4 anni, in Giappone di 6, in Canada e negli Stati Uniti di soli 3. A causa del grande ritardo accumulato e della ripresa relativamente debole, l’Italia recupererà il livello pre-crisi (PIL 2007) in circa 6 anni, nel 2015. E’ il tempo di recupero più lungo tra le grandi economie: la Zona Euro impiegherà mediamente 2 anni, il Giappone 4, il Canada e gli Stati Uniti solo 1, poiché in entrambi i Paesi il PIL tornerà al livello del 2007 già nel 2010.
Quanto al Prodotto Interno Lordo per abitante, la dinamica relativamente sostenuta della popolazione italiana determina performances nettamente peggiori rispetto alle altre grandi economie avanzate. La Grande Recessione del 2008-2009 è costata ad ogni italiano ben 7,7 punti di PIL pro-capite, con un impoverimento assai più accentuato rispetto alla Zona Euro (-4,4), al Regno Unito (-5,7), al Giappone (-6,2) e agli Stati Uniti (-3,8).
Nel biennio 2010-2011, a fronte di una buona ripresa negli altri Paesi, in Italia il PIL per abitante tornerà a crescere solo marginalmente (+0,1 per cento nel 2010 e +0,5 per cento nel 2011). Debole anche la dinamica prevista per il quadriennio 2012-2015: 3,1 punti di crescita cumulata in Italia, contro 6,1 punti nella Zona Euro, 8,5 punti nel Regno Unito e in Giappone, 5,9 punti negli Stati Uniti. Unica eccezione, ancora una volta, la Spagna nel biennio 2010-2011.
La Grande Recessione nel 2009 ha riportato indietro al 1999 le lancette del PIL per abitante italiano. Dieci anni persi sono un record tutto italiano, visto che nella Zona Euro il reddito pro-capite è tornato indietro di 4 anni, in Giappone e Regno Unito di 6, in Canada e negli Stati Uniti di 5. Con queste premesse, anche i tempi di recupero rischiano di essere biblici per il nostro Paese. I dati del FMI si fermano al 2015. Ipotizzando per gli anni successivi una crescita del PIL analoga a quella prevista dal FMI per il 2015 (+1,3 per cento) e una dinamica della popolazione pari a quella stimata da Eurostat, l’Italia tornerebbe al PIL pro-capite del 2007 solamente nel 2019 (nel 2017 se l’aumento della popolazione fosse meno sostenuto di quello previsto dal FMI fino al 2015). Da 8 a 10 anni è un tempo di recupero lunghissimo, ben superiore a quello medio della Zona Euro, del Regno Unito e del Giappone (4 anni), per non parlare del Canada e degli Stati Uniti (3 anni).
Nel complesso, le proiezioni del FMI confermano il quadro che già ad agosto 2009 NENS aveva evidenziato. L’Italia esce pesantemente colpita dalla Grande Recessione e rischia di recuperare il terreno perso molto più lentamente degli altri grandi Paesi avanzati. Per una ripresa più sostenuta, sono decisive le riforme strutturali: non ad personam, ma nell’interesse generale del Paese.
Antonio Misiani – Nens