
Forse Mark Zuckerberg ha davvero la coscienza sporca: sotto un fuoco di fila di domande sulla questione della privacy labile di Facebook, ha cominciato a sudare copiosamente. Perle umide che gli scendevano dalla fronte al collo al punto che a un certo punto ha ceduto, si è tolto la felpa leggera con cappuccio e stemma aziendale sulla fodera celeste interna, che non si leva mai.
E la sua linea di difesa, il balbettio, le frasi sconnesse, l’apparente aria di innocenza, il proclama che le violazioni della privacy su facebook non sono affatto violazioni ma rappresentano un «modo per abbattere gli ostacoli, le rigidità nel libero scambio di informazioni» non hanno rassicurato. Anzi: vedersi davanti questo ragazzo di 26 anni – sottolineiamo: molto più immaturo di quanto non fossero Steve Jobs o Bill Gates quando avevano loro 26 anni – in controllo, padrone di 500 milioni di utenti, non rassicura. Un suo critico feroce, che abbiamo incontrato all’evento, Jason Calacanis, dice: «È patetico, non risponde alle domande più elementari… devo dire che è uno spettacolo triste».
Può sembrare impietoso prendersela con un ragazzo di 26 anni che a partire da 19 ha costruito (in circostanze controverse) un modello sociale virtuale di amicizie, inviti fra sconosciuti, foto e documenti, che gli ha dato una ricchezza valutata in 11 miliardi di dollari. Ma la questione è importante. E va ben al di là dell’età, della simpatia o dell’antipatia perché riguarda una questione etica centrale nell’era di Internet: le nuove procedure di Facebook dunque, portano a una violazione della privacy o no ? «No – risponde Zuckerberg – per noi è una questione di apertura… costruiamo il nostro progetto attorno alla gente, per la gente… Abbiamo lavorato per due settimane di fila per rispondere ad alcune delle critiche e abbiamo dato agli utenti la possibilità di limitare l’accesso alle loro informazioni. Per noi la privacy è una questione molto importante».
Zuckerberg non fa marcia indietro, anzi difende la filosofia dietro la “personalizzazione” che porta a una maggiore vulnerabilità sui dati personali degli utenti. Ed è vero che oggi Facebook ha diversi livelli di accesso, famiglia, amici, comunità, fino all’apertura completa per una disseminazione sempre più allargata dei dati degli iscritti. È anche vero che la maggioranza degli utenti, anche potendolo fare, non va necessariamente a modificare le procedure più elementari per escludere accessi esterni. Moltissimi sono giovani che non si rendono conto come certe cose scritte o dette oggi possano poi danneggiarli magari fra qualche anno. O che non afferrano le programmazioni “nascoste” di Facebook. Uno dei problemi che solleva sospetti è che Facebook abbia introdotto le “aperture” di “sottecchi” e su sua iniziativa. Ancora più controverso è il “servizio” che consente agli utenti di mostrare le informazioni che appartengono ai loro amici su Facebook su altri siti Internet. Il servizio si chiama “instant personalization” e per ora è limitato. Ma Zuckerberg ha difeso quella che lui chiama «personalizzazione»: «Fra qualche anno guarderemo indietro e ci chiederemo come mai in quel momento non è stato personalizzato tutto, il mondo si muove in un’unica direzione in cui tutto è disegnato attorno alla gente».
Nell’attesa, tra i 35mila che si sono cancellati per protesta c’è anche Ilse Aigner, ministro tedesco per la Tutela dei consumatori: «Mancano garanzie sulla tutela della privacy».
C’è da chiedersi chi si nasconde davvero sotto la felpa e sotto la maglietta nera girocollo che abbiamo visto «per la prima volta nella storia di Internet» come ha osservato ironica Sarah Swisher conduttrice con Walt Mossberg di D8. Su questo punto la “giuria” deve ancora decidere: la privacy è a rischio, ma Zuckerberg è un giovane idealista al servizio del prossimo in buona fede? Oppure la privacy è a rischio e Zuckerberg è in mala fede? Come dire: sa benissimo che “aprendo” le informazioni dei suoi 500 milioni di iscritti ha davanti a se una miniera d’oro commerciale ma non lo ammetterà mai per non perdere la “faccia” coi suoi seguaci. E anche in questo caso ci sono due livelli. Il primo: Facebook ha sperimentato che con maggiori accessi all’informazione degli abbonati aumenta il numero degli iscritti. Tre anni fa erano 100 milioni oggi sono 500. Fra due anni potrebbero essere un miliardo. Un miliardo di “associati”. In questo caso il fine sarebbe lo stesso controverso, ma interno. L’altro fine invece potrebbe essere quello di dare l’accesso a organizzazioni commerciali che avrebbero così materiale prezioso irripetibile per le loro strategie di marketing. La terza ipotesi è che le azioni di “apertura” e condivisione di informazioni “non” rappresentino una violazione della privacy.
Qui a Ranchos Verdes, fra il popolo dei “vecchi” della D8, dove vecchi sono quelli al di sopra dei trent’anni, non abbiamo trovato una persona convinta che non ci siano rischi per la privacy dalle recenti politiche di facebook. Il dubbio resta sulla buona fede o sulla malafede di Zuckerberg. Dubbio che non può avere oggi una soluzione “provata” in quanto il processo alle intenzioni è impossibile. Di certo però il futuro di credibilità e fiducia che Facebook è riuscito a conquistarsi nel cuore di centinaia di milioni di utenti potrebbe appannarsi. Se almeno Zuckerberg giustificasse le aperture con un articolato progetto con fini di business, almeno sarebbe trasparente. Ma, come gli è capitato in gioventù (cioè sei anni fa), sembra ambiguo, indiretto, incerto. Tutto il contrario dell’apertura che proclama per Facebook, come forse tradisce il sudore che gli scende sul collo.
Fonte: ilsole24ore