Cina, un anno dopo gli scontri tra han e uiguri a Urumqi

Un giovane uiguro che sventola un drappo rosso con cinque stelle, la bandiera della Repubblica popolare cinese. Basterebbe quest’ immagine per capire quanto sia difficile raccontare gli scontri del 5 luglio dello scorso anno a Urumqi. Il bilancio delle violenze, secondo le fonti ufficiali, fu di 197 morti e oltre 1700 feriti. I giornali di tutto il mondo scoprirono così lo Xinjiang e la questione uigura, la minoranza musulmana e di origine turca che abita la Regione autonoma dello Xinjiang.

Trascorso un anno dagli scontri tra cinesi han e uiguri è bene tentare di dare a tutti gli strumenti perché possano elaborare una propria opinione sui fatti, senza cadere in facili visioni in bianco e nero. “Ci sono molte cose che noi ancora non sappiamo, e che non potremo mai sapere”, ha detto James Willard, docente di storia alla Georgetown University di Washington, “anche se alcune cose sono chiare perfino con le limitate informazioni disponibili”.

Una cosa è certa i moti di Urumqi sono stati diversi da quelli del 1997 a Gulja. Allora le motivazioni sociali si mischiarono alle connotazioni religiose. Un anno fa gli studenti scesi in piazza non hanno invocato l’indipendenza, come sarebbe piaciuto a una parte della diaspora uigura in esilio. Chiedevano a Pechino una reale autonomia, manifestando la propria lealtà alla Cina sfilando sotto le bandiere della Repubblica Popolare.

Come la rivolta in Tibet nel 2008 anche quella nello Xinjiang ha però messo in discussione la stabilità politica della nazione cinese. Il separatismo è stato indicato da Pechino come il filo rosso che lega le due sollevazioni. La risposta delle autorità è stata il porre l’enfasi sull’unità nazionale diventata l’ideologia fondante della Cina dopo l’abbandono della retorica socialista negli anni Ottanta. Ma a differenza dello Stato-nazione conosciuto in occidente la Cina è più uno stato unitario pluralistico, dove convivono 56 diverse nazionalità legate da vincoli di interdipendenza e da una comune memoria storica.

E pur con le sue specificità a Urumqi scoppiò quello che Pechino definisce ‘un incidente di massa’. Sono decine di migliaia ogni anno: nascono da dispute contro i funzionari locali corrotti, dagli espropri forzati di abitazioni o terreni, dai compensi non pagati, dalle ingiustizie ai danni dei cittadini, dai soprusi compiuti dal potente di turno e coperti dalla polizia complice e corrotta.

Tutti spunti e idee per capire la complessità di ciò che accade in terra cinese.

Lettera22