Calabria-Lombardia, le mani della ndrangheta su Milano e dintorni: arresti eccellenti

Decine di amministratori dell’ hinterland milanese, molti dei quali leghisti, sono indagati a Milano, a vario titolo, per concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione, turbativa d’ asta, abuso d’ ufficio e concorso in estorsione. La procura di Milano sta lavorando ad un’ indagine delicatissima al fianco dei colleghi di Monza e a ai procuratori aggiunti di Reggio Calabria Michele Prestipino e Nicola Gratteri, contro il quale nella scorsa primavera è stato scoperto un progetto di attentato: i carabinieri del Ros, infatti, hanno trovato un bazooka in un terreno alla periferia di Reggio che, secondo l’ inchiesta, sarebbe dovuto servire a colpire Gratteri nel percorso quotidiano fra casa e la procura.

Era la scorsa primavera e la procura di Reggio stava da tempo intercettando i vertici della ‘ndragheta. È così emerso che numerosissimi appalti edili per opere pubbliche in Lombardia venivano decisi in Calabria da un organismo finora semi-sconosciuto della mafia reggina: la cosiddetta “provincia”, simile alla cupola di Cosa Nostra, che avrebbe anche ordinato una serie di omicidi nel capoluogo lombardo. Come quello del boss Carmelo Novella, ucciso a luglio 2008, per impedirgli di organizzare autonomamente una propria “provincia” in Lombardia.

I clan calabresi a Milano e nell’ Hinterland, secondo quanto accertato dal Ros, avrebbero in mano praticamente il monopolio del settore movimento terra nei cantieri attraverso una moltitudine di imprese intestate a soggetti incensurati. In alcuni casi i clan si sarebbero proposti direttamente agli amministratori locali per entrare nelle gare di appalto di competenza comunale come strade, scuole, trasporto dei rifiuti. In altri casi si sono insediati nel capitale azionario di imprese pulite. In questo modo la ‘ndragheta si sarebbe già infiltrata in alcuni dei sub-appalti già assegnati per l’Expo 2015 e sarebbe pronta a farlo per quelli del Raccordo Autostradale del Brennero (valore due miliardi di euro). Gli indagati al momento sono circa 200 e tra questi numerosi piccoli e medi imprenditori lombardi, accanto agli affiliati delle cosche, ai loro prestanome, e agli amministratori comunali. Massimo il riserbo sui nomi dei politici. Ad alcuni di loro stato è contestato il concorso in estorsione laddove si è scoperto che gli amministratori hanno in vari modi consigliato gli imprenditori di accettare forniture, come quelle di cemento, che arrivavano da imprese gestite direttamente o indirettamente dalle cosche.

Non a caso il boss Carmelo Novella, che deteneva un patrimonio personale di 5 milioni di euro, era anch’esso imprenditore nel settore edile attraverso la Ritual Bar di Legnano e la Trans Ven srl. Un altro omicidio collegato a questo tentativo senza precedenti di ristrutturazione dell’organigramma dell’associazione risulta essere quello di Cataldo Aloisio, vicino alla ‘ndrina di Cirò Marina e assassinato a Legnano nel settembre di due anni fa. I carabinieri del Ros hanno individuato nell’hinterland milanese ben 14 “locali” della ‘ndrangheta (i referenti territoriali che raggruppano più famiglie) che fanno capo per lo più alle cosche della fascia Jonica. Tra questi anche il locale di Milano Centro. Non ci sarebbero, al momento, esponenti dell’amministrazione milanese coinvolti nell’inchiesta anche se esistono alcune intercettazioni che riguardano presunte campagne voti della ‘ndrangheta per favorire Letizia Moratti.

A parlarne al telefono i fratelli Lampada, imprenditori affiliati al boss reggino Pasquale Condello. Uno dei Lampada, Giuseppe, figura peraltro tra gli arrestati nel blitz dei giorni scorsi contro una ‘ndrina che usurava le imprese di cui era complice l’imprenditore Cusenza, candidato alle politiche locali con Forza Italia e sedicente pupillo, stando ad una telefonata, del presidente della Provincia di Milano Guido Podestà. Le inchieste sono in una fase cruciale. Alcuni giorni fa un quotidiano locale della Calabria ha fatto uno scoop, confermato da fonti giudiziarie, sull’esistenza di un’intercettazione ambientale in carcere tra un detenuto affiliato al boss Condello e un suo familiare nella quale il recluso afferma che è stato un magistrato a far mettere le microspie ritrovate alla procura di Reggio in una stanza utilizzata da Nicola Gratteri per parlare in modo riservato con gli investigatori.

l’Unita