CINEMA / Hollywood, la ricerca di eroi multietnici a 70 anni dalla nascita di Bruce Lee

CINEMA – “Ricordo un’intervista di Bruce Lee che spiegava di sentirsi molto motivato dall’idea di dare al mondo, finalmente, un eroe ‘non bianco’. Era una considerazione profonda: tutti noi da bambini lo imitavamo. Per me, come indiano, è importante cambiare gli stereotipi. Una famiglia razzista del Sud degli Stati Uniti che non ha altri amici se non bianchi, con i figli che amano il mio cinema implica già un certo tipo di progresso sociale. Per me Bruce Lee è una sorta di divinità che ha cambiato la storia del cinema e del mondo, mescolando forme d’arte differenti. “ M. Night Shyamalan, regista de Il Sesto Senso, ma anche di Unbreakable e The Village racconta così il suo approccio con la grande tradizione multietnica del cinema legato alle arti marziali e, soprattutto, all’icona Bruce Lee, che quest’anno avrebbe compiuto Settanta Anni. Il suo nuovo film, L’ultimo dominatore dell’aria, ispirato all’omonima serie televisiva, ha come protagonista un ragazzino che ricorda moltissimo il Dalai Lama e che come lui è ‘il prescelto’ per salvare un pianeta impazzito dalle lacerazioni. Shyamalan è da sempre molto attento alla multietnicità dei protagonisti dei suoi film. Un fenomeno quest’ultimo che Hollywood sta tenendo d’occhio da tempo, ma anche negli ultimi anni ha portato un numero crescente di attori non bianchi a diventare le Star di un cinema sempre più rivolto al mondo che all’America conservatrice.

Mentre Sylvester Stallone gioca la ‘carta nostalgia’ con I Mercenari – The Expendables dove lui si riunisce ad un gruppo di ex icone palestrate WASP degli anni Ottanta (lui, Schwarzy, Bruce Willis, Jason Statham, Dolph Lundgren e dove comunque bisogna annoverare la discreta presenza di Jet Li…) l’operazione più interessante è Karate Kid – La Leggenda Continua remake – spin off della celeberrima serie di film anni Ottanta con protagonista Ralph Macchio.

Prodotto da Will Smith il film ha come protagonista suo figlio Jayden che il pubblico mondiale ha conosciuto molto piccolo nel toccante La ricerca della felicità diretto da Gabriele Muccino. Il ragazzino, orfano di padre, si trasferisce in Cina con la madre dove, per farsi accettare dai suoi nuovi compagni, oltre alle lezioni di cinese avrà bisogno di quelle di Kung Fu da parte di un apparentemente dimesso inserviente sotto le cui spoglie troviamo nientedimeno che Jackie Chan, divo del cinema orientale d’azione.

Nel film mancano totalmente ‘i bianchi’ così come ci sono stati raccontati: una coproduzione con la Cina in cui il fascino del paese asiatico è enfatizzato dal suo misto tra tradizione e futuro, celebrato in un film che dell’originale comunica soprattutto il messaggio positivo legato alla volontà di non arrendersi mai di fronte alle difficoltà della vita e, e alla possibilità di continuare, sempre ad imparare, senza distinzione tra discepoli e maestri.

In questo senso entrambi i film si aprono ad una nuova era del cinema hollywoodiano: se da un lato, fino adesso, le Star non WASP protagoniste di film erano molto poche (lo stesso Smith, Denzel Washington, Wesley Snipes, Chris Tucker, Jackie Chan) nel nuovo millennio anche la Mecca del Cinema sa di doversi aprire verso nuovi mercati e scelte differenti rispetto al passato, dando spazio, con difficoltà, a scelte diverse non soltanto per quanto riguarda i cast, come oramai abitudine consolidata negli ultimi dieci anni, ma anche per i ruoli di protagonista che vengono, ormai sempre più affidati ad attori non bianchi, in grado di fare appello ad un immaginario collettivo molto più ampio e moderno.

Il cinema d’azione, destinato ad un pubblico evidentemente più ampio, rispetto alle produzioni indipendenti, ai drammi e alle opere d’autore viene costruito non solo come visione di un regista, ma – soprattutto – come prodotto commerciale da marketizzare in giro per il mondo.

Il successo del cinema di Hong Kong, delle spettacolari produzioni cinesi d’azione dirette da Maestri come Ang Lee, Zang Yimou e quel John Woo che quest’anno viene premiato con il Leone d’Oro alla carriera al Festival di Venezia, ma anche l’Oscar di due anni fa a The Millionaire sono la prova che qualcosa, nel mondo, sta cambiando ed un cinema internazionale non può che essere popolato da eroi che fanno appello ad una cultura mondiale multietnica e non più americano o eurocentrica. L’eredità di Bruce Lee, quindi, oggi è molto più ampia che in passato con un’industria di Bollywood, cinese, giapponese e – in futuro – anche africana, pronta a sorprenderci.

“Del resto.” ci dice Abishek Bachchan, megastar indiana, marito di Aishwarya Rai, un essere umano su cinque è indiano, uno su sei è cinese. E’ normale che il mondo del cinema internazionale cambi, guardando ad un nuovo pubblico mondiale.”

Gianni Cipriani