
GIAPPONE – Il Giappone e gli Stati Uniti sono gli unici due paesi, del gruppo dei G8, a prevedere ancora la pena di morte nel loro sistema giudiziario. Al momento sono 107 i detenuti in attesa nel braccio della morte. Le ultime due esecuzioni sono avvenute il 28 luglio di quest’anno; esecuzioni che hanno comportato più polemiche del solito, per questo tipo di fatti, in quanto sono state le prime autorizzate da un ministro Democratico, di un partito, cioè, che si è sempre mostrato quantomeno dubbioso su questo tipo di pena.
Le Nazioni Unite e le varie organizzazioni umanitarie, sia nazionali che internazionali, hanno spesso criticato il governo di Tokyo, non solo per l’applicazione stessa della pena di morte, ma anche per le modalità con la quale viene eseguita: i detenuti rimangono anche anni nei bracci della morte e vengono informati della loro esecuzione solo qualche ora prima di salire sulla forca. L’impiccagione avviene nella massima segretezza e solo a cose fatte il Ministero della Giustizia comunica i nomi degli impiccati e i rispettivi crimini che li hanno portati al patibolo. La stanza delle esecuzioni è sempre stata off-limits per i media.
Quando il 19 settembre 2009, il nuovo Premier Yukio Hatoyama nominò Ministro della Giustizia l’avvocato Keiko Chiba, molti, in Giappone e all’estero, sperarono che presto la pena di morte sarebbe stata abrogata o, quantomeno, messa in discussione. Keiko Chiba, che politicamente ha militato nel Partito Socialista, prima di approdare al Partito Democratico, è nota per il suo impegno a favore dei Diritti Umani; da anni guida un gruppo di sostegno di Amnesty International ed è una fiera oppositrice della pena capitale.
Il fatto che abbia firmato due condanne a morte, nel luglio scorso, ha sconcertato anche gli ambienti del suo stesso partito, ma, come ha detto lo stesso Ministro, era un atto necessario all’apertura di un discorso sulla liceità della massima pena e sulle sue modalità di applicazione. Keiko Chiba è stata il primo Ministro della Giustizia a presenziare all’esecuzione ed è pronta a portare la sua offensiva contro l’applicazione della pena di morte in Giappone.
Abrogare la pena capitale in Giappone non è semplice e, politicamente, è pericoloso in quanto la stragrande maggioranza dei Giapponesi è favorevole a questo tipo di pena, come citano gli ultimi sondaggi. I sostenitori dell’abrogazione della pena di morte sostengono che il sostegno popolare così vasto è anche dovuto all’ignoranza della gente sulle modalità con cui viene applicata; se venisse promosso un serio dibattito nel Paese, dicono, molti cambierebbero la loro opinione. Per questo motivo il Ministro ha deciso di permettere ai media di entrare, per la prima volta nella storia del Giappone, nel braccio della morte e nella stanza delle esecuzioni. Inoltre verrà presto creata una commissione, formata non solo da burocrati del Ministero di Giustizia, per discutere, se non proprio l’abrogazione della pena capitale, quantomeno l’introduzione di provvedimenti atti a rendere più dignitosa la condizione dei condannati a morte.
Forse questa può essere la volta buona che anche in Giappone possa essere messa al bando la pena di morte che ormai, la quasi totalità dei paesi civili e industrializzati, rifiuta.
Cristiano Suriani