COLOMBIA – È cambiata la faccia, neppure più presentabile, ma il sistema è sempre lo stesso, in Colombia. Un sistema di violenza generalizzata. Mascherata da un simulacro di misure apparentemente democratiche.
Ha lasciato, dopo due mandati e avendo tentato di averne un terzo, stoppato dalla Corte Costituzionale, Alvaro Urìbe , l’uomo che aveva coniato il motto: “Mano dura, cuore grande”. Gli è subentrato un suo delfino, Juan Manuel Santos, ex ministro della Difesa.
In realtà Uribe in questi otto anni ha mostrato soprattutto la “mano dura”. Del “cuore grande” non c’è traccia, sottolinea Augustìn Jimenez, portavoce del Centro contro la tortura di Bogotà. “Se analizziamo le torture a livello comunitario, la violenza che viene esercitata su intere popolazioni, anche attraverso gli spostamenti forzati, i rapimenti e l’uccisione dei leaders comunitari, si nota che gli interessi del narcotraffico, delle grandi imprese minerarie e dell’esecutivo sono gli stessi”.
La dottrina di Uribe, la cosiddetta “sicurezza democratica” (un ossimoro improbabile visto cosa intende Uribe per “sicurezza”: ammazzare chi gli intralcia la strada e la pensa diversamente) ha acutizzato al massimo il controllo del territorio, facendo scempio di chiunque avesse il coraggio di porre qualche critica,di opporsi in nome del mancato rispetto dei diritti umani fondamentali.
La tragedia, poco conosciuta, dei “falsos positivos”, i falsi guerriglieri, sta tutta qui, nella sua drammaticità. Vengono sequestrati contadini, catechisti, studenti, sindacalisti; li si sopprime per poi vestirli da guerriglieri e intascare la ricompensa. Ricompensa prevista dal “Plan Colombia” per ogni ribelle ucciso. Una taglia in dollari per ogni cadavere. Finora sono 2.279 i morti accertati – da parte di gruppi per i diritti umani – per questo macabro rituale, un piano di sterminio concepito proprio nei piani alti dei palazzi presidenziali di Bogotà. Il Plan Colombia,un fiume di dollari, 6 miliardi, nelle intenzioni degli Stati Uniti doveva servire a sradicare il narcotraffico, aiutare i campesinos a diversificare le colture.
Di fatto si è trasformato in una micidiale equazione: più assassinati uguale più dollari sonanti che arrivano.
Héctor Abad, scrittore colombiano costretto a più riprese all’esilio (è autore di “L’oblio che saremo”, una lirica rievocazione della figura del padre, ucciso perché come medico curava chiunque si presentasse nel suo ambulatorio) sperava caldamente che alle presidenziali avessero qualche chance persone che rappresentano una Colombia diversa e migliore.
Ad esempio Sergio Fajardo, che come sindaco di Medellìn è riuscito a fare il miracolo di ridurre il numero degli omicidi nella sua città da 6.500 (!) all’anno (uno stato di guerra vero e proprio) a poco più di cinquecento. O come Enrique Penalosa, che da sindaco di Bogotà era riuscito a portare piccole biblioteche nei quartieri diseredati di periferia e a garantire “la colazione ai bambini di tutte le scuole popolari, molti dei quali ci arrivavano senza aver toccato cibo”. Lo confessa lui stesso: la sua era una felice utopia, un sognare a occhi aperti un cambiamento del suo paese che spera prima o poi giunga.
Obama non ha nulla da eccepire, visto che gli Stati Uniti si apprestano ad aumentare (sono 7: un record!) le proprie basi militari nel paese più armato e “militarizzato” del Sudamerica?