POVERTÀ – Il reddito minimo in tutta l’Unione come soluzione al problema della povertà e in risposta alla crisi. E’ il messaggio lanciato dal network europeo contro la povertà, Eapn. Ad oggi solo Italia, Grecia e Ungheria non prevedono la misura.
Promuovere il reddito minimo su scala europea come soluzione al problema della povertà e risposta efficace all’attuale crisi economica: questo il messaggio lanciato oggi nel corso di una conferenza organizzata dal network europeo contro la povertà, Eapn, e dall’affiliato belga Bapn.
L’organizzazione sta promuovendo l’adozione di una direttiva quadro europea che renda comune a tutti i cittadini il diritto a un reddito minimo: al giorno d’oggi vi sono ancora tre paesi su 27 (Italia, Grecia e Ungheria) che non prevedono questa forma di sostegno, ma in molti dei paesi dove è presente le allocazioni garantite non superano la cosiddetta soglia di povertà (calcolata sul 60% del reddito minimo).
Per questo Epan ritiene necessario che venga definito a livello europeo uno schema che stabilisca criteri comuni di definizione e attuazione del sussidio: secondo le stime più recenti, il 17% degli europei è povero, ovvero più di 84 milioni di persone.
Già in passato l’Europa si era espressa favorevolmente sul reddito minimo: nel 1992 il Consiglio dell’Unione europea (ovvero i governi) aveva stabilito il diritto delle persone a risorse sufficienti e all’assistenza sociale per poter condurre una vita dignitosa.
Da allora non si sono registrati progressi, nonostante una comunicazione della Commissione del 2008 che riprendeva gli stessi principi.
Secondo Ludo Horemans, presidente di Eapn, un reddito minimo adeguato rappresenta una soluzione efficace sia al problema della povertà, in quanto fornirebbe alle persone i mezzi finanziari per rompere il ciclo dell’esclusione, sia alla crisi economica, in quanto si metterebbe in circolo denaro che le persone meno dotate economicamente spenderebbero totalmente, invece di risparmiarlo e tenerlo fuori dal ciclo dei consumi come fanno attualmente le classi medie e alte.
Per Magda De Meyer, rappresentante della presidenza belga dell’Unione europea, è necessario progredire sulla strada del reddito minimo, anche se molti Stati membri sono molto poco favorevoli ad appoggiare questo tipo di soluzione. “Per molti governi è sufficiente lottare contro la poverta’ semplicemente mettendo le persone in attività”, spiega De Meyer, che però aggiunge che molto spesso lavorare non libera dalla povertà.
Un punto di vista condiviso da Eapn: la strategia di Lisbona, che puntava tutto sul pieno impiego, non ha risolto il problema della povertà, e le statistiche dimostrano che vi sono ancora moltissimi europei che – nonostante abbiano un impiego – hanno grandi difficoltà ad arrivare a fine mese: circa l’8% dei salariati europei vive a rischio povertà. Inoltre, nei paesi dove esiste un reddito minimo inferiore o corrispondente alla soglia di povertà, si crea un meccanismo vizioso in cui le persone rimangono rinchiuse nel “ciclo dei sussidi”, da dove è difficile uscire.
Capita infatti che con sussidi troppo bassi, i destinatari non riescano a rompere il ciclo di povertà in quanto non hanno, ad esempio, mezzi sufficienti per pagarsi i trasporti verso un eventuale luogo di lavoro, o non riescono a fornire alla prole i mezzi sufficienti per non ereditare lo status di povero ed esclusione, come racconta Geneniève Baert, donna belga che vive sola coi cinque figli dopo essere uscita da una storia di maltrattamenti domestici: “non posso mandare i miei figli in gita, non possono partecipare a gruppi sportivi o ad attività culturali”.
“C’è un tabù da superare – sostiene Christine Mahy – presidente di Bapn – ed è quello del denaro: i poveri hanno bisogno di soldi per uscire dalla povertà, il lavoro di per sé può non bastare nonostante tutta la tenacia e la buona volontà di persone come Geneniève”.
Fonte: Dire