GUERRA DELLE OLIVE IN CISGIORDANIA – Questa è una guerra “oleosa”. Che non fa rumore. E non provoca vittime. O almeno: non vittime civili. Questa è una guerra combattuta a colpi di olive. Perché in gioco c’è qualcosa di più grosso: il controllo del territorio. Ma anche gli introiti che derivano dalla vendita dell’olio.
Ulivo dopo ulivo contadini palestinesi e coloni israeliani negli ultimi anni hanno fatto la gara a chi piantava più alberi. «Lo facciamo perché così i coloni non ci potranno più sottrarre altra terra», dicono gli arabi. Quest’anno, almeno a sentire i proclami, i palestinesi ne avrebbero piantato il doppio rispetto agli anni scorsi. Gl’israeliani, invece, annunciano di aver raddoppiato il raccolto.
Ma ora, in piena stagione del raccolto, la sfida s’è fatta più aspra. E i colpi bassi sono all’ordine del giorno. Ci sono gruppi che saccheggiano le piantagioni degli avversari. E gruppi che danneggiano o addirittura bruciano gli uliveti del nemico. Da parte palestinese sono scesi in campo anche i leader politici: dal primo ministro Fayyad ai vari esponenti del Fatah. Il fatto è che, sotto sotto, la questione è soprattutto economica: l’ulivo cresce facilmente, richiede poche cure e l’olio si vende a cinque euro al litro.
Ecco perché l’Autorità palestinese ha approvato un piano di sovvenzione che permetterà agli agricoltori della Cisgiordania di piantare anche trecentomila nuovi alberi ogni anni. Coloni e falchi di Gerusalemme permettendo.
Leonard Berberi