VITTORIA DI BERLUSCONI – Quando si dice che le apparenze ingannano. L’aula della Camera sta per votare sulla mozione di sfiducia. E il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, cosa fa? Si avvicina al ‘nemico’, il capogruppo di Fli Italo Bocchino, e gli stringe la mano. Sembra un gesto cordiale e invece è sprezzante. “Grazie, grazie per il tuo intervento” gli dice.
Nella lunga giornata della resa dei conti con Gianfranco Fini, infatti, il premier è coinvinto che anche i toni dipietristi della sua dichiarazione di voto abbiano dato il colpo di grazia alle colombe futuriste, convincendo Moffa ad astenersi e Catia Polidori e Mariagrazia Siliquini a votare a favore del governo. Il presidente della Camera la vede diversamente e ironizza su quei voltafaccia nati – dice – da una “disinteressata folgorazione sulla via di Damasco“. Ma tant’è, quei tre voti sono importanti e finisce così, con Berlusconi che incassa la scontata fiducia al Senato e poi ‘agguanta’ anche quella della Camera: 314 sì a cui contribuiscono anche i cosidetti ‘responsabili nazionali’ eletti con l’opposizione: Calearo, Scilipoti e Cesario.
Il premier è soddisfatto per essere riuscito in quel progetto a cui, con colloqui riservati e ripetute telefonate, lavorava da giorni: spaccare il gruppo dei finiani. Berlusconi – viene riferito – è convinto che non saranno le uniche ‘defezioni’ tra gli uomini del presidente della Camera e che qualcun’altro arriverà anche dai centristi. Ai futuristi ‘duri e puri’ invece sbarra la strada: Con loro – dice alla presentazione del libro di Vespa – è chiuso ogni spazio di trattativa. La parola del giorno insomma è ‘allargamento’. Con una dichiarata offerta all’Udc, tanto da non escludere di poter prendere in considerazione una “crisi pilotata”, aprendo anche (ma neanche troppo) a quelle dimissioni-lampo che non aveva voluto concedere invece a Fini. Anche di questo il presidente del Consiglio è andato a parlare con il capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Un colloquio dovuto, per cortesia istituzionale, dopo la verifica parlamentare, ma al quale Berlusconi si presenta – dopo averne parlato con Bossi – con una fiducia light da 314 voti: troppo pochi per garantire un governo stabile, ma abbastanza per poter dire ‘ora sono io che dò le carte’. E a Napolitano il premier ribadisce che nel mondo ci sono svariati esempi di cosiddetti governi di minoranza – vedi Canada e Germania – che vanno ciononostante avanti. Che, prima di ogni altra cosa, il voto di oggi dimostra che “una maggioranza alternativa non c’è”, dunque non c’è spazio per governi tecnici. A questo punto, il presidente del Consiglio si incunea nel terzo polo e fa la sua offerta all’Udc: d’altra parte ci sono ancora 11 posti, tra ministri, vice ministri e sottosegretari, da assegnare. La Lega avrebbe dato il via libera alla trattativa. I centristi per ora rispondono no grazie. Ma c’è tempo fino a gennaio. E d’altra parte, anche questa opzione è stata ben calcolata, per certi versi pilotata, nell’entourage del premier. ‘Aprendo’ all’Udc, infatti, Berlusconi dà il segnale di mettere al primo posto gli interessi del Paese che deve essere guidato in questa fase di crisi economica. E se l’Udc dovesse dire di no? Beh, si assumerebbero una grave responsabilità – spiegano nel Pdl – consentendo al premier di tornare al Quirinale a dire che a questo governo non c’è che una alternativa: il voto.
Apcom