Repubblica: Agguato in masseria con 40 colpi di pistola: nella strage di Vibo la ‘ndrangheta non c’entra nulla

AGGUATO IN MASSERIA VIBO – Doveva essere una strage, e così è stato. Dei Fontana non doveva restarne vivo neppure uno. Erano temuti, pericolosi agli occhi della gente. Non avevano legami con la criminalità organizzata, la ´ndrangheta questa volta non c´entra. E però era una famiglia “ruvida”, dura. Domenico Fontana, aveva cresciuto i figli Pasquale, Pietro, Emilio e Giovanni, a pane e terra. Li aveva abituati a difendersi alla vecchia maniera. Per questo Ercole Vangeli, l´uomo che ha confessato il massacro, aveva deciso di chiudere la storia una volta per tutte. Agendo, secondo gli investigatori assieme al fratello Francesco Saverio, al nipote Pietro (figlio di Francesco Saverio) e al genero dello stesso fratello, Gianni Mazziteli. Un agguato che doveva mettere la parola fine ad anni di vessazioni, di liti, di prepotenze, di danneggiamenti.

Vangeli e la sua famiglia ci devono aver pensato a lungo. Tant´è che il provvedimento di fermo emesso dalla Procura di Vibo, con il quale sono stati ammanettati ieri mattina, parla di “omicidio premeditato plurimo“. Una carneficina voluta, insomma, come dimostra la dinamica dei fatti illustrata dal procuratore Mario Spaguolo. Quaranta colpi di pistola esplosi con una calibro 9 ed una 7 e 65, regolarmente detenute dai fratelli Ercole e Saverio Francesco. Nella masseria dove sono stati trovati i cinque corpi crivellati, i carabinieri del colonnello Giovanni Roccia hanno dovuto camminare su un tappeto di bossoli e sui caricatori delle pistole abbandonati dagli assassini. Quanto basta per far dire agli inquirenti che non può essersi trattato di una lite degenerata, di un omicidio d´impeto. Nelle campagne di Filandari dove i Fontana tenevano le pecore e coltivavano la terra, quelli della famiglia Vangeli sapevano di trovarli insieme e c´erano andati armati, con tanto di munizioni di riserva. Eppure in paese non erano considerati brutte persone, gente abituata a confrontarsi con una vita difficile, ma non criminali. “Senza precedenti di polizia”, capaci però di replicare impugnando le armi, evidentemente.

I Fontana, invece, erano noti alle forze dell´ordine. Nel 1998 il padre Domenico e i figli Emilio e Pasquale erano stati arrestati per una storia di droga. Coltivavano canapa indiana da immettere sul mercato locale. Nel 2002, Pietro ed Emilio furono coinvolti in una storia di estorsioni. L´unico che non aveva problemi con la giustizia era il più giovane dei Fontana, Giovanni, 19 anni, un “ragazzo a posto”. Ercole Angeli, quando lunedì sera si è consegnato ai carabinieri, ha raccontato di aver agito da solo. Ha detto di aver perso la testa dopo l´ennesimo sopruso: «Uno di loro aveva preso a schiaffi mio padre». Non era la prima volta che tra i due nuclei familiari erano volate parole grosse e qualche spintone. Tra l´altro Vangeli era convinto che dietro una serie di danneggiamenti alle sue proprietà ci fossero loro, i Fontana. Alberi tagliati, steccati devastati, mezzi agricoli rovinati. Aveva presentato quattro diverse denunce. Nel 2007 la prima, l´ultima nei mesi scorsi. Tutte contro ignoti. Lunedì sera l´epilogo. È finita come spesso finisce «dove non esiste cultura della legalità – nota ancora Spagnuolo – ma solo violenza, cieca e feroce». Si sono presentati in quattro dai Fontana, hanno aperto il fuoco senza possibilità di scampo. Hanno sparato fino a scaricare le pistole. Poi hanno ricaricato. E sparato ancora.

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