
INTERVISTA A HERVE’ GATTEGNO –
Silvio Berlusconi lascerà presto il potere dopo 17 anni di dominazione sulla destra italiana e tre nomine a capo del governo. Pur non facendo un elogio di Berlusconi, secondo lei ci ritroveremo a rimpiangerlo. Che cosa intende dire con questa affermazione?
Per prima cosa, naturalmente, ci mancheranno le sue pagliacciate, le sue provocazioni – a volte odiose – la sua faccia tosta. Quindici anni fa c’era qualcosa di inquietante in lui: un uomo d’affari ricchissimo, padrone dei più importanti media del paese, capace di vincere le elezioni a colpi di slogans populisti. Ora, invece, è un personaggio ridicolo – più simile ad Aldo Maccione che a Mastroianni. Tuttavia, gli italiani sono ben lontani dall’odiarlo. Inoltre, bisogna riconoscere che dopo Papandréou, anche Berlusconi è diventato il capro espiatorio dei dirigenti europei, che non sanno più come dimostrare ai mercati finanziari e alle agenzie di rating il loro impegno a comportarsi da buoni alunni. Berlusconi è un cancro. Quando il cancro se ne va, tutta la classe si chiede chi prenderà il suo posto
Si spingerebbe a dire che il giudizio espresso su Berlusconi è ingiusto?
Sulla sua persona, no, naturalmente. E’ un uomo che si è appropriato del potere per curare i suoi interessi personali, ha fatto modificare le leggi per eludere la giustizia e, sul piano del privato, tutti hanno potuto costatare che il Cavaliere ha dei modi di fare…da “macho”. Bisogna però ammettere che se l’Italia è in una situazione catastrofica non lo deve soltanto a Berlusconi. Il debito esorbitante di questo paese – 120% del PIL – è stato accumulato per la maggior parte fra gli anni 1970 e 1980, sotto i governi di destra e sinistra che, a causa dei loro errori e delle loro bassezze – senza dimenticare i loro legami con la mafia -, hanno tracciato la strada a Berlusconi. In realtà, mettendo da parte il debito pubblico, il budget del paese non è in déficit e l’economia è ancora piuttosto vigorosa, anche non tenendo conto dell’economia parallela.
Ma allora perché la partenza di Berlusconi è condizione indispensabile perché l’Italia possa risollevarsi?
E’ questo il punto. Certo, Berlusconi non ha fatto le riforme economiche, fiscali, sociali di cui vi era bisogno. Ma dal momento che i risultati dell’Italia non sono poi così negativi, ciò che spiega questo accanimento nei suoi confronti (culminato con il Consiglio europeo della settimana scorsa), è piuttosto il suo stile, la sua condotta, la sua mancanza di autorità. In altri termini, la caduta di Berlusconi mostra che i mercati non hanno più solo il potere di rilevare la situazione economica, ma anche quella politica, esprimendo un giudizio morale sui dirigenti dei singoli paesi. Qualsiasi cosa si pensi della caricatura che è diventata Berlusconi, non è certo che occorra felicitarsi della sua partenza…
Intende dire che sarebbe stato meglio se fossero stati gli italiani a farlo partire?
Ovvio. Ed è senza dubbio ciò che sarebbe accaduto – ma la pressione del mondo economico, del patronato, delle banche, dell’Europa, del FMI, si è messa in atto affinché non ci fosse bisogno di attendesse fino a quel momento. Nessuno ha voluto correre il rischio che Berlusconi, con uno dei colpi di teatro di cui è senza dubbio un esperto, riacquistasse influenza nel paese. D’altronde, nulla esclude che possa ripresentarsi in extremis. In ogni caso, l’annuncio della sua partenza non è stato sufficiente a far riacquistare la fiducia nel paese, giacché le Borse sono di nuovo crollate. Risultato: l’Italia ha ritrovato la virtù, ma non la morale, mentre Berlusconi, per aver vissuto nell’immoralità, ha conosciuto una fine (un po’) immorale.
Traduzione di Flavia Lucidi Da Le Point.fr, pubblicato l’11/11/2011