
CINA: VIOLENZE CONTRO MONACI TIBETANI – Proseguono in Cina la feroce repressione e le violazioni dei diritti umani contro i monaci tibetani. Il sito di Free Tibet, l’organizzazione per il rispetto dei diritti umani in Tibet, ha pubblicato alcune foto che ritraggono diversi monaci tibetani arrestati dalla polizia speciale e paramilitare cinese. I monaci portano dei cartelli al collo con scritto sopra il proprio nome e il crimine di cui sono accusati. Le foto sono state scattate nelle prefetture autonome di Kandze e di Ngaba (Aba), nell’area tibetana della provincia di Sichuan. Le immagini sono state diffuse dal sito web di opposizione Boxun.com, in lingua cinese.
Negli ultimi mesi, nelle prefetture di Kandze e Ngaba, diversi monaci tibetani si sono dati fuoco per protestare contro le violazioni dei diritti umani e la feroce repressione di cui sono vittime.
Le immagini pubblicate da Free Tibet sono molto dure e ricordano quelle dei nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale; anche gli elmetti indossati dalla polizia speciale cinese sono molto simili a quelli delle SS tedesche. Nella prima fotografia si vedono alcuni monaci tibetani ammanettati, con le braccia dietro la schiena, spinti con la forza dalla polizia in guanti bianchi, che li afferra per il collo come se fossero animali. In fondo a destra, nella fotografia, si vede un monaco con la testa più in basso degli altri e la mano di un poliziotto sollevata come se gli avesse dato uno schiaffo sulla nuca. Nella fotografia successiva vengono mostrati invece alcuni civili, anche loro arrestati e trascinati con forza, con la schiena piegata e le braccia sollevate all’indietro. Le fotografie seguenti mostrano ancora monaci tibetani con le braccia dietro la schiena: in una sono stati fatti inginocchiare per terra, nell’altra, caricati su delle camionette scoperte (come quelle su cui i nazisti caricavano gli ebrei deportati) vengono spinti, dai militari e dalla polizia sempre in guanti bianchi, con la testa verso l’esterno in modo che siano visibili i cartelli che portano al collo. Le accuse che vi si leggono sono di “separatismo”, un’incriminazione che può portare al carcere a vita.
Redazione