PIRATI SOMALI – In questi giorni è tornato alla ribalta il tema della pirateria nell’Oceano Indiano. Nel giro di pochi giorni, infatti, è sì finalmente arrivata la tanto attesa liberazione dei marinai dell’equipaggio della nave Savina Caylyn, sequestrata nel febbraio scorso, ma è anche stato messo in atto un nuovo sequestro ai danni di un’altra petroliera italiana, la Enrico Ievoli. Il fatto che i due avvenimenti si siano verificati a distanza tanto ravvicinata non è un caso: nelle acque che bagnano non solo le coste del Corno d’Africa ma anche della penisola arabica il fenomeno della pirateria somala, nato della prima metà degli anni Novanta, è tutt’altro che raro e anzi ha esteso sempre di più il suo raggio di azione.
Le prime azioni dei pirati si sono verificate dopo lo scoppio della drammatica guerra civile seguita al crollo del regime di Siad Barre: l’assenza di un governo centrale e il caos che regnava sovrano nel Paese hanno favorito il fenomeno, nato in un primo momento al fine di vigilare sui confini marittimi somali, che spesso venivano violati da navi straniere. Ben presto, però, nel sistema sono entrati anche miliziani e uomini d’affari, che hanno spinto all’incremento delle azioni di pirateria per incassare una parte dei soldi derivanti dai riscatti pagati per la liberazione delle imbarcazioni.
I sequestri sono dunque diventati sempre più frequenti, fino a costituire una pericolosa minaccia per il traffico marittimo tra l’Europa, il Corno d’Africa e l’Asia e ad imporsi all’attenzione dei governi di tutto il mondo. Alle operazioni di repressione contribuisce, dal 2008, anche la Nato.
Stando a dati recenti, i pirati sono quasi tutti originari della zona nordorientale della Somalia e hanno tra i 20 e i 35 anni: quelli attivi in questo momento dovrebbero essere almeno un migliaio, suddivisi in cinque diversi gruppi organizzati. L’emittente televisiva britannica Bbc ha realizzato un reportage sull’argomento, rilevando l’esistenza di tre distinte categorie di pirati: i pescatori – che rappresentano la mente delle operazioni – gli ex miliziani – che hanno fatto parte del braccio armato di un clan locale o dell’esercito di Siad Barre – e gli esperti tecnici, che si occupano appunto delle attrezzature.
In questi anni le navi italiane sono finite più volte nel mirino dei pirati: è il caso della Malaspina Castle e del Buccaneer, attaccate nel 2009, e della Alessandra Bottiglieri e della Rosalia d’Amato, sequestrate nell’aprile scorso. Sono stati inoltre numerosi gli attacchi falliti o respinti grazie all’intervento di altre navi.
Tatiana Della Carità