Armi leggere, guerre pesanti. Le esportazioni italiane di armi piccole e leggere ad uso civile

Come ogni anno, l’Archivio Disarmo propone il report 2012 Armi Leggere Guerre Pesanti, verificando l’evoluzione del quadro normativo dell’export italiano di armi ad “uso civile” e monitorando la dimensione quantitativa del fenomeno anche in relazione alla situazione interna degli importatori.

Attualmente si stima che solo un terzo degli 875 milioni di armi leggere in circolazione nel mondo sia nelle mani di forze di sicurezza o privati legalmente autorizzati. Le autorizzazioni all’esportazione mondiale superano gli 8.5 miliardi di dollari, a fronte di un mercato illecito impossibile da calcolare. A causa della facilità nel trasportarle, nel reperirle e nasconderle, le armi leggere si prestano ad un uso “improprio”, che ne ha determinato la proliferazione. Le cifre parlano chiaro: ogni anno
la violenza armata uccide circa 526.000 persone. In sostanza, il legame tra una proliferazione incontrollata di armi leggere e il trend crescente della violenza armata appare sempre più allarmante.

A tal proposito l’Arms Trade Treaty (ATT) approvato recentemente dall’Assemblea Generale dell’Onu presenta evidenti lacune. Rimane assai debole l’obbligo di trasparenza dei trasferimenti di sistemi d’arma. L’ATT si pone, in questo senso, sullo stesso livello dell’inefficace Registro Onu sulle armi convenzionali. E inoltre, le armi da fuoco che non hanno un uso esclusivamente militare (assieme alle armi elettroniche) ne rimangono escluse. Il trattato può facilmente essere aggirato. Inoltre, la legislazione italiana divide le armi leggere di piccolo calibro in due categorie: armi leggere da guerra e armi comuni da sparo. Solo una parte delle armi leggere italiane, quelle classificate come militari, rientra nel regime di controllo della
legge 185/90, mentre le armi comuni da sparo sono sottoposte alla disciplina della legge 110/75, anche se negli ultimi anni in sintonia con la 185. Sono proprio le armi comuni da sparo l’oggetto del report 2012 Armi Leggere Guerre Pesanti.

Nel 2011 l’Italia ha esportato complessivamente armi comuni da sparo per 461.918.073 euro. Negli ultimi dieci anni l’export di armi ha avuto incremento costante con due lievi flessioni nel 2003 e nel 2006. Nel 2011 l’export ha subìto un leggero
decremento (0,2%) anche a causa della crisi economica. Ma l’Italia rimane fra i maggiori esportatori nel settore.

I Paesi dell’Unione Europea, nel 2011, sono stati destinatari del 42% dei materiali esportati per la cifra di 193.651.614 euro. È l’area che importa il maggior numero di armi comuni da sparo italiane. Seguono i Paesi dell’America settentrionale,
che, con un aumento di due punti percentuali rispetto al 2010, acquisiscono il 29% dei materiali esportati dall’Italia (133.574.943 euro). Terzi sono i Paesi europei che non fanno parte dell’UE dove è stato trasferito l’11% del totale e il volume di acquisti arriva a 52.877.061 euro. Al quarto posto si collocano i Paesi dell’Asia con l’8% delle esportazioni (37.846.220 euro).

I Paesi dell’America centro-meridionale registrano una quota del 4% delle esportazioni (16.457.318 euro), mentre i Paesi dell’Africa Settentrionale e Centro Meridionale registrano rispettivamente 3 e 1 punti percentuali sul totale delle
esportazioni (in cifre 15.108.372 euro e 3.393.703 euro).

Infine, l’Oceania si attesta al 2% delle esportazioni con un volume di acquisti di 9.008.842 euro.

Scorrendo i dati 2011 relativi ai primi venti importatori di armi comuni da sparo di produzione italiana, si può facilmente notare come questa speciale classifica non sia cambiata molto rispetto al 2010, almeno nella top 5. Al primo posto gli Stati Uniti, che importano armi comuni da sparo italiane per la cifra colossale di 126.389.353 euro. Un mercato molto consistente in un Paese dove, però, ai numerosi atti di violenza armata si sta cercando di rispondere con una proposta di legge che lo regoli e che eviti a chiunque di comprare armi per uso privato, peraltro fortemente osteggiata dalle lobbies delle armi.
La Francia conferma il suo secondo posto con importazioni per 62.638.306 euro anche se ben lontani dai 95.258.592 del 2010.
Poi seguono Regno Unito e Russia, rispettivamente con importazioni per 44.804.885 euro e 21.049.337 euro. Preoccupa, tuttavia, la situazione interna della Federazione Russa, Paese in cui il rispetto dei diritti umani non è per nulla scontato.
Amnesty International segnala episodi di tortura da parte della polizia (nonostante siano state approvate leggi di riforma) e violazioni dei diritti umani perpetrate soprattutto nell’area instabile del Caucaso settentrionale sia da parte di gruppi armati sia da parte di forze di sicurezza ufficiali.

La top 5 mondiale è chiusa dalla Germania con importazioni per 18.998.375 euro anch’esse in leggera riduzione rispetto al 2010 (22.004.310 euro). Il settimo posto mondiale spetta alla Turchia che spende, nel 2011, 15.175.330 euro. Nel Paese con capitale Ankara persistono tensioni fra i governativi e il PKK che rappresenta la minoranza curda nella regione. Nonostante il “cessate il fuoco” ufficiale sia ancora in vigore, gli scontri spesso sfociano in ondate di grande violenza. E le operazioni nell’Iraq del nord che prendono di mira le basi del PKK non fanno che esasperare la situazione. Gravi anche i comportamenti di abuso da parte della polizia che sfociano in denunce di tortura e violazione dei diritti umani. Gli Emirati Arabi Uniti importano armi comuni da sparo italiane per 8.890.954 euro. In questo caso Amnesty International segnala discriminazioni nei confronti delle
donne e difficoltà a esprimere liberamente la propria opinione.

Spesso le Nazioni Unite intervengono nella zona con direttive precise che il governo prova a eseguire. Secondo Human Rights Watch la situazione dei diritti umani è in notevole deterioramento soprattutto quando ci si riferisce ad attivisti politici, arrestati, ai loro avvocati, minacciati, e ai lavoratori migranti. Nel Nord Africa si trova il nono importatore mondiale di armi comuni da sparo italiane, l’Algeria con acquisti per 7.849.141 euro. Il governo ha revocato lo stato d’emergenza nazionale in vigore dal 1992, ma permangono severe restrizioni alla libertà di espressione, associazione, riunione e alla pratica di culti religiosi. Spesso le forze di sicurezza fanno uso eccessivo della forza contro manifestanti e rivoltosi. Critica anche la condizione dei detenuti e delle donne, spesso oggetto di discriminazioni e maltrattamenti.

Tali violazioni dei diritti umani rimangono tuttavia impunite e i gruppi armati continuano a imperversare nella zona uccidendo spesso civili inermi e incolpevoli. Rimanendo in Nordafrica, anche le importazioni del vicino Marocco sono significative (6.061.205 euro). Anche in questo Paese le forze di sicurezza sono al centro dell’attenzione mondiale per un costante abuso dell’uso della forza, soprattutto contro chi critica governo e istituzioni statali. Procedimenti penali poco chiari e carcerazioni colpiscono in particolar modo gli attivisti impegnati per l’autodeterminazione del Sahara
Occidentale.

Dietro al Marocco, al sedicesimo posto mondiale, si colloca il Venezuela con importazioni per 5.223.473 euro. Il problema fondamentale per Caracas è la violenza nelle città. Il governo del defunto Hugo Chavez ha fatto alcuni tentativi creando una
commissione presidenziale per il controllo delle armi, delle munizioni e del disarmo al fine di controllare la proliferazione delle armi di piccolo calibro. E nello stesso tempo ha ordinato lo schieramento nelle strade delle truppe della guardia nazionale per combattere il dilagare della criminalità violenta.

Chiudono la top 20 mondiale tre Stati con seri problemi interni. In Kuwait, che importa armi comuni da sparo per 5.187.655 euro, Amnesty International denuncia minacce alla libertà di espressione e manifestazione del pensiero e arresti e torture di
manifestanti troppo attivi. Discriminazioni colpiscono anche le donne. Cipro, nel 2011, conferma il trend degli anni passati attestandosi a 4.828.215 euro di importazioni. Nella piccola isola mediterranea le questioni di potere e sovranità fra i greco-ciprioti e i turcociprioti rimangono irrisolte. I negoziati per la condivisione del potere proseguono, ma la
situazione rimane tesa. Infine il Messico, ventesimo importatore mondiale con un volume di acquisti di 3.784.138 euro. Il Messico non è considerato come Paese in guerra sebbene i conflitti intestini allo Stato centroamericano siano due. Il primo è la cosiddetta guerra zapatista, conflitto armato che il Governo Messicano affronta al sud del paese contro l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, mentre il secondo è la più conosciuta guerra al Narcotraffico. Nei due casi alle azioni delle forze dell’ordine si aggiungono gli interessi delle bande armate e dei cartelli della droga. Sono migliaia le persone rapite, uccise e violentate ogni anno in America centrale. Le bande armate e i cartelli della droga approfittano dei vuoti di potere del governo di Città del Messico per agire spesso in accordo con le stesse forze di polizia. In questo contesto, le misure
adottate sembrano inefficaci in uno degli Stati con il più alto tasso di criminalità al mondo e i tribunales del pueblo assicurano la certezza della pena, ma non è scontato che tale pena sia giusta e che la sua somministrazione rispetti i diritti della persona umana.

Il Rapporto 2012 completo è disponibile sul sito www.archiviodisarmo.it