Cori razzisti in Curva Scirea, parla la moglie dell’indimenticato ‘Gae’: ”Nessuno rispetta più il suo nome”

Curva Juventus (getty images)

 

Anche la Curva della Juventus, in questo caso entrambe le curve, è stata squalificata per i famosi cori di discriminazione territoriale. Nel match contro il Napoli i supporters bianconeri hanno quasi invitato il Giudice Sportivo a squalificargli la Curva infischiandosene degli appelli a smettere con i cori. Una di queste è denominata ‘Curva Scirea’, in onore del grande giocatore della Juventus, l’indimenticato ‘Gae’, scomparso negli anni ’80. La moglie Mirella è veramente delusa dal comportamento dei tifosi che frequentano quel settore: ”Cosa penso della squalifica? Purtroppo non sono sorpresa, me l’aspettavo, siamo recidivi – dice a ‘La Repubblica’ -. Ma due turni di chiusura fanno effetto. Questo è il prodotto del malessere del tifo italiano, di una sottocultura che conosce solo l’insulto. Non è solo un problema della Juventus, qui l’intero mondo ultrà si è coalizzato contro le nuove regole federali. Quando i tifosi bianconeri decisero di chiamare la curva col nome di mio marito, ormai 24 anni fa, ne fui molto felice, ma lo dissi subito: “Guardate che il nome di Gaetano Scirea richiede una grande responsabilità”. Stringemmo un patto: noi siamo la Juventus, la nostra curva deve distinguersi per correttezza. Con quegli ultrà era possibile un dialogo, ci confrontavamo, c’era un alto senso del rispetto, molti di loro ora sono genitori o nonni. I giovani che ne hanno preso il posto forse non si sentono responsabili del nome Scirea: le curve sono diventate un mondo a se stante, in cui non è facile introdursi e ragionare. Mi rendo conto che la mia è stata un’utopia. Sono delusa dal fatto di non aver raggiunto quell’obiettivo di cui mi ero innamorata. È necessario un tavolo fra il governo, Figc, Coni e dirigenti dei club, per inventarsi qualcosa, subito. La tessera del tifoso non ha mai funzionato, anzi, facendo di tutt’erba un fascio ha penalizzato i tifosi sani, creando difficoltà per andare allo stadio. Serve un intervento radicale, come in Inghilterra dopo l’Heysel. E le società devono collaborare”. 

Marco Orrù