Come sei stato coinvolto in questo film ?
Avevo conosciuto Paolo Ruffini per caso circa tre anni fa in un ristorante, quando ci siamo riconosciuti a vicenda; io non pensavo che lui sapesse chi fossi, (Guglielmo Scilla in arte Willwoosh, è un “caso” del web con oltre 250 mila follower su twitter, 500 mila fan su facebook e oltre 65 milioni di visualizzazioni sul suo canale youtube, n.d.r), poi poco meno di un anno fa il mio telefono ha iniziato a squillare: era Paolo che voleva propormi un piccolo ruolo in “Fuga di cervelli”. Dopo un provino che era andato particolarmente bene mi ha promosso sul campo, proponendomi di diventare uno dei cinque protagonisti.
Come ti si è trovato nel periodo trascorso con gli altri interpreti prima delle riprese?
È stato molto importante perché io da spettatore detesto vedere certi film in cui non si vede la vicinanza, l’intimità e la familiarità tra i personaggi, dove non si leggono né si intuiscono i rapporti tra loro. Io, Ruffini e gli altri protagonisti del film abbiamo iniziato a vederci a Milano per familiarizzare e per favorire il modo di parlare e di muoversi dei nostri vari personaggi. Si è trattato di un lungo lavoro intrapreso per cucirci addosso i personaggi, e per far nascere fra tutti noi la confidenza necessaria. Una volta arrivati sul set, poi, è stato come ritrovarsi in gita. Stavamo sempre insieme, anche fuori dall’orario di lavoro. I miei compagni di lavoro si sono rivelati tutti delle bellissime persone, ho conosciuto ad esempio Frank Matano che come me negli ultimi tempi ha un forte seguito su youtube: lo ammiravo da sempre ma non avevamo sentito il bisogno di essere amici per forza soltanto perché avevamo un’estrazione comune, la nostra amicizia è nata strada facendo come un fatto logico e naturale.
Chi è il tuo personaggio e che cosa gli succede in scena?
Io nella vita sono una persona tranquilla, attenta a ciò che dice e a come lo dice. Il personaggio che interpreto, Lebowsky, rappresenta invece il mio opposto: se ne frega di tutto e tutti, se ne sta quasi sempre zitto e se parla lo fa solo per dire qualcosa di fondato: io lo trovo molto divertente perché al contrario di tutto ciò che lo circonda e degli altri ragazzi tende a togliere, a sottrarre, diventando così un tipo particolarmente silenzioso, reso ancora più ermetico anche dai suoi occhiali e dal suo strambo abbigliamento. Non gli importa niente di come vestirsi o del look giusto e gli va bene così, e aiuta gli altri a suo modo. Il personaggio è per certi versi ancora infantile, con una madre che lo crede ancora bambino e tenta di controllarlo in qualunque modo. Per interpretarlo mi sono fatto crescere barba e capelli lunghi; a fine riprese ero talmente abituato da sentirmi a disagio nel doverli tagliare, ero come Sansone quando aveva perso la chioma. Per questo personaggio il look, particolarmente statico, è tutto: è strano, va sempre in giro con un oggetto feticcio, una zebra di gomma di cui sembra quasi innamorato, è un po’come l’Alan di “Una notte da leoni”, la esilarante commedia americana a cui mi sono ispirato. Indossa sempre lo stesso strano maglione, la zebra e poi collanine, ciabatte ed occhiali che rappresentano per lui un eterno costume di scena.
Anche il tuo Lebowsky però avrà sua evoluzione?
Sì, anche se poco evidente, in fondo rimane il più “bamboccione”, ma anche, per certi versi, il più maturo di tutti e questo paradosso fa capire quanto siano immaturi gli altri… sembra che non si interessi a niente, è silenzioso e assorbe tutto ma al momento delle grandi scelte è a lui che ci si rivolge, in attesa che arrivi a pronunciare una frase che si rivelerà quella decisiva per portare avanti la storia: ogni volta che apre bocca ne esce una “sentenza”.
Come ti sei trovato con Paolo Ruffini?
Il giorno in cui sono stato scritturato mi è arrivato un suo sms che diceva: “sei nato il giorno delle grandi star” . Ho cercato di capire consultando internet chi fosse nato in quella data (e ho trovato solo una celebre pornodiva), ma poi ho scoperto che il 26 novembre era nato proprio Paolo che evidentemente si riferiva a se stesso. Ha una sensibilità pazzesca, ci siamo scoperti piuttosto simili in molte cose e il nostro rapporto ha avuto una continua crescita; io non tendo a prevaricare sugli altri in scena facendo battute a tutti i costi, anche a costo di sembrare un tipo snob e freddo. Tutti conoscono il “feedback” di Ruffini che è gentile, disponibile, altruista in maniera pazzesca, ci ascoltava molto e invitava tutti noi a chiedergli quello che volevamo fare anticipandoci da subito che probabilmente ci avrebbe assecondati. Valutava e coordinava le varie idee ma poi il potere di decisione alla fine dipendeva da lui: il set è stato particolarmente tranquillo, non c’è mai stato un attimo di tensione né nessun litigio. È stato molto importante sia il periodo di approfondimento iniziale che ha preceduto le riprese sia il momento in cui ci siamo ritrovati in scena, alimentando una sorta di coesione continua e la possibilità di fare un proficuo gioco di squadra apprezzando le trovate degli altri: ci passavamo la palla per fare goal. Ruffini ci diceva sempre che se non ci divertivamo noi sul set non potevamo mai pretendere che si potesse divertire chi sarebbe poi andato al cinema. A questa leggerezza si aggiungono le emozioni e le riflessioni che lui ha voluto tirare fuori quando la vicenda diventa più sostanziosa e “pensosa”: il nostro è un film che vai a vedere per divertirti, ma quando ti arriva il messaggio un po’più serio spicca più facilmente perché fino ad allora hai visto in scena dei ragazzi come te, non necessariamente scapestrati ma capaci di una loro umanità. Sono strambi perché sono dei supereroi “sfigati” (il cieco, il paralitico, lo spacciatore e il cretino) che aiutano lo “sfigato”.
Ricordi qualche episodio particolarmente divertente?
Ce ne sarebbero tanti: quando qualcuno si ritrova davanti Frank Matano che ogni volta termina le sue battute in un modo diverso ti senti male, non sai come rimanere serio in scena, e questa era una situazione all’ordine del giorno che si ripeteva costantemente. È stato divertentissimo per me anche dover guidare in un’altra sequenza un tipico autobus inglese a due piani: quando il proprietario del veicolo mi aveva indicato come guidarlo, mi sono sentito piuttosto confuso… era previsto che dovessi far fermare l’autobus proprio davanti alla macchina da presa che riprendeva la scena, ma avevo una paura terribile e come me l’aveva tutta la troupe schierata lì davanti!
Come ti sei trovato con Olga Kent?
È stata una grande sorpresa, una ragazza che sarebbe riduttivo definire soltanto bellissima, perché è anche dolce, disponibile, simpatica, elegante e timida. Sono qualità che in genere quando una donna è bella non vengono notate. Abbiamo trascorso tante serate insieme che ci hanno permesso di familiarizzare, avevamo tutti una forte voglia reciproca di stare insieme e diventare amici.
Intervista di Silvia Casini