Trattativa Stato-mafia, il pentito Brusca: “Il papello di Riina finì a Mancino”

Giovanni Brusca nel giorno del suo arresto (screenshot La7)

Deponendo nell’aula bunker di Milano, l’ex boss di Cosa Nostra, ora collaboratore di giustizia, Giovanni Brusca, ha dato la sua versione dei fatti in merito alla trattativa Stato-mafia che si sarebbe sviluppata nei primi anni Novanta, spiegando: “Nel Natale 1991, Riina convocò a Palermo una grande riunione della Cupola: in quell’occasione ci annunciò che i politici ci stavano tradendo. E dovevamo romperci le corna. Sapevamo che il maxiprocesso sarebbe andato male in Cassazione, anche per l’interessamento di Giovanni Falcone, che aveva fatto ruotare i componenti del collegio giudicante, sottraendo la presidenza al giudice Carnevale”.

“Lima e Andreotti non avevano mantenuto le promesse”, ha aggiunto Brusca, considerato l’uomo che spinse il tasto del radiocomando che il 23 maggio 1992 fece saltare l’autostrada tra Palermo e Capaci, uccidendo Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della loro scorta. Secondo Brusca, infatti, Riina diceva che ad Andreotti dovevamo rompere le corna, ostacolandolo, non facendolo diventare presidente della Repubblica. E ci siamo riusciti, anche anticipando la strage Falcone. Dopo il 23 maggio, Riina mi disse: con una fava abbiamo preso due piccioni”.

Il passaggio fondamentale della deposizione di Brusca riguarda però il terminale della trattativa, che secondo il pentito sarebbe stato Nicola Mancino, che da lì a poco sarebbe stato nominato Ministro dell’Interno: “Venti giorni dopo la strage di Capaci, vidi Riina a casa di Girolamo Guddo. Mi disse che aveva fatto un papello di richieste, per fare finire le stragi. Mi spiegò che avevano risposto, fecero sapere che le richieste erano assai. Ma non c’era una chiusura. E a questo punto Riina mi fece il nome di Mancino, la richiesta era finita a lui, così mi fu spiegato”.

Redazione online