
La Corte Suprema russa ha bocciato la sentenza di condanna per le Pussy Riot, le ragazze del collettivo punk-rock che il 21 febbraio del 2012 inscenarono una performance di protesta, cantando una preghiera dissacratoria contro Vladimir Putin nella cattedrale del Cristo Salvatore a Mosca. Per quel gesto, due Pussy Riot, Nadezhda Tolokonnikova e Maria Aliokhina, furono condannate a due anni di detenzione in una colonia penale, mentre alla terza, Ekaterina Samutsevich, fu concessa la libertà vigilata. Così stabilì la sentenza di appello nell’ottobre del 2012, confermando la condanna di primo grado solo per due ragazze del gruppo punk-rock.
Ora, secondo la Corte Suprema la pena a carico delle ragazze andrebbe modificata se non addirittura cancellata. La Corte ritiene infatti che i giudici di primo grado non abbiano indicato le prove dell’odio contro un gruppo sociale, le ragazze erano state condannate per “teppismo motivato da odio religioso”. La Corte Suprema ha poi contestato ai giudici di merito di aver negato alle ragazze il differimento della pena, nonostante abbiano figli minorenni, e di aver ignorato tutta una serie di attenuanti, tra le quali: la giovane età delle imputate, la loro situazione familiare, la loro condotta di vita, il carattere non violento delle loro azioni e l’opinione della parte lesa, ovvero la comunità di cristiani ortodossi, che non aveva chiesto una pena severa per le ragazze.
La decisione della Corte Suprema russa giunge comunque a pochi mesi dalla scadenza della pena detentiva, prevista a marzo 2014, per le Pussy Riot Nadezhda e Maria, e sopratutto alla vigilia dell’amnistia annunciata da Putin per i 20 anni della Costituzione russa. Amnistia che verrebbe disposta sia per le Pussy Riot condannate, oltre che per gli attivisti di Greenpeace arrestati, e poi liberati, per l’assalto alla piattaforma petrolifera russa nel Mar Glaciale Artico.
Redazione