
Un nuovo rapporto del Centro Studi di Confindustria intitolato “La difficile ripresa. Cultura motore dello sviluppo” ha messo in luce una realtà catastrofica per il nostro Paese, sostenendo tra l’altro: “L’Italia si presenta alle porte del 2014 con pesanti danni, commisurabili solo con quelli di una guerra”. Secondo il CSC, è forte il “cedimento della tenuta sociale”, che porti poi al “montare della protesta che si incanali verso rappresentanze che predicano la violazione delle regole e la sovversione delle istituzioni”.
“Il destino dell’Italia che si ripete con il coagularsi di importanti gruppi politici anti sistema”, sostiene ancora Confindustria, che ritiene “improprio” parlare di ripresa nel 2014-2015, perché questo termine “appare derisorio nei confronti di quanti, imprenditori e lavoratori, resteranno in difficoltà a lungo”; sarebbe più opportuno, spiegano da Viale dell’Astronomia, sostenere la locuzione “nuova era e di ricostruzione”, un’era in cui “accanto alle tante carenze da colmare potranno registrarsi buone carte da giocare sulla competitività internazionali”.
“Le persone a cui manca il lavoro, totalmente o parzialmente, sono 7,3 milioni, due volte la cifra di sei anni fa. Anche i poveri sono raddoppiati a 4,8 milioni”, sostiene ancora Confindustria, evidenziando come negli anni della crisi “le famiglie hanno tagliato sette settimane di consumi, ossia 5.037 euro in media l’anno”. La nota positiva è che si è fermata “l’emorragia occupazionale” e che il tasso di disoccupazione è rimasto pressocché invariato.
Confindustria critica poi la legge di stabilità, che avrà un impatto di crescita “molto piccolo”, variabile tra lo 0,1 e lo 0,2%, e che nel 2015 avrà “un effetto restrittivo della stessa entità di quello espansivo del 2014”. La maggiore preoccupazione del Centro Studi è sui 200 miliardi di euro di reddito che sarebbero andati in fumo nei sei anni tra il 2007 e il 2013, ma che – sostengono gli industriali – possono essere recuperati attraverso “riforme incisive”.
Preoccupano inoltre le retribuzioni contrattuali orarie, ferme rispetto a un mese fa e in crescita di appena l’1,3% rispetto all’anno precedente. Si legge nello studio: “I settori che a novembre presentano gli incrementi tendenziali maggiori sono: telecomunicazioni (4%); agricoltura (3,3%); chimica e metalmeccanica (entrambi 2,3%)”. Preoccupa infine la quota di dipendenti in attesa di rinnovo, che è del 48,9% nel totale dell’economia.
Redazione online