Roma, Cie Ponte Galeria: sono dieci gli immigrati che si sono cuciti la bocca per protesta

Cie di Ponte Galeria Roma (screen shot youtube)

La situazione sul trattamento degli immigrati nei centri di accoglienza in Italia, spesso e volentieri sovraffollati e dove a volte le condizioni di vita sono disumane, è stata più volte denunciata dai media e dalle organizzazioni umanitarie. Mentre a Lampedusa dopo lo scandolo del video diffuso dal Tg2 sugli immigrati a Lampedusa, il deputato del Pd Khalid Chaouki dopo essersi chiuso all’interno del Centro di primo soccorso e di accoglienza dell’Isola sta proseguendo la sua protesta ad oltranza anche a Roma, nel centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Ponte Galeria una decina di immigrati si sono cuciti la bocca per ricordare la loro esistenza alle istituzioni.

La protesta a Roma è iniziata domenica mattina con il tunisino Mohamed Rmida che dopo essere uscito dal carcere Mammagialla di Viterbo (prima ancora era detenuto in quello di Civitavecchia) è stato portato al Cie di Ponte Galeria a Roma dove è attualmente “ristretto” da due settimane. Rmida oltre a protestare per le condizioni di una vera e propria detenzione nei Cie denuncia anche il fatto che sono scomparsi dei soldi che aveva inviato alla sua famiglia in Tunisia mentre si trovava nel carcere di Civitavecchia.

Altri nove immigrati si sono associati alla protesta del tunisino Rmida: tra questi di 6 sono di nazionalità marocchina e altri 3 tunisini.
Gli immigrati che si sono cuciti le bocche come riporta il corriere.it, hanno rifiutato le cure, ma possono bere e fumare.

Intanto sul posto è giunta ieri una delegazione di parlamentari guidata dal senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione per i diritti umani del Senato, accompagnata dal direttore del Cie, Vincenzo Lutrelli di Auxilium, l’associazione che da qualche anno interviene al Cie.

Sul caso, il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni ha chiesto il superamento dei Cie e nuove procedure per il rientro nei propri paesi per i detenuti in carcere al termine dell’espiazione della pena: “I fatti di Lampedusa e quanto sta accadendo qui a Roma hanno rilanciato il dibattito sulla necessità di superare i CIE così come sono. Ma per affrontare questa situazione di emergenza non occorrono provvedimenti straordinari, basta solo iniziare ad applicare norme e a portare a regime progetti che esistono già. Questi progetti consentono, a chi sceglie di tornare nel proprio Paese d’origine al termine della pena, di intraprendere un percorso assistito basato su tempi certi e, soprattutto, senza transito nei Cie”, spiega il garante parlando del rimpatrio assistito.

Marroni ha poi evidenziato l’inerzia delle procedure di identificazione degli immigrati in carcere, oggi lasciata alla competenza esclusiva del Ministero dell’Interno: “L’introduzione di un meccanismo di identificazione già in carcere è la premessa per permettere ai detenuti stranieri di scontare la loro pena nel Paese d’origine e di evitare il successivo passaggio al Cie”, dichiara Marroni illustrando l’incoerenza della pratica di trasferire gli immigrati che hanno scontato una pena in carcere nei Cie anziché applicare le procedure direttamente in carcere.

Redazione

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