
Pierfrancesco Favino è in questi giorni a teatro a Roma, all’Ambra Jovinelli, con il suo “Servo per due”. L’attore romano in questa versione da “Arlecchino” è tutto da scoprire e da vedere: salta, balla, canta e duetta col pubblico. Un pubblico “da lui ritrovato” come ci racconterà in questa bella chiacchierata.
Dopo il debutto nel 2011 al National Theatre di Londra con la regia di Nicholas Hiytner, One Man, Two Guvnors, ha entusiasmato pubblico e critica nel corso di una tournée in Gran Bretagna ed è approdata con successo a Broadway nel 2012. La traduzione e l’adattamento di questa prima versione italiana dell’opera di Bean sono a cura dello stesso Pier Francesco Favino e di Paolo Sassanelli (che, con Favino, firma la regia dello spettacolo), di Marit Nissen e di Simonetta Solder.
Ciao Pierfrancesco, lieti di ospitarti su Direttanews. Sei a metà della tournée di “Un servo per due” . Ci fai un primo bilancio? Sei soddisfatto di come stanno andando le cose, visto gli ottimi risultati ai botteghini?
Sono felicissimo per il grande riscontro di pubblico che sta avendo questo spettacolo. Sono felice sopratutto perché quando la gente esce dal teatro è sorridente e soddisfatta di aver visto “Un servo per due”. Il pubblico ha capito quello che volevamo trasmettere ed è soddisfatto di aver speso i soldi del biglietto cosa non scontata in questo momento storico.
Parlaci di questa commedia che ti vede anche nel ruolo di regista, oltre che di attore, insieme a Paolo Sassanelli
E’ una rivisitazione de l’ Arlecchino “Il servitore di due padroni”, molto libera, tratta da una commedia inglese One Man, Two Guvnors di Richard Bean.
L’ho vista a Londra mentre ero lì per lavoro e appena uscito dal teatro ho chiamato Marco Balsamo che è il coproduttore insieme a “Gli ipocriti”, e gli ho detto che mi sembrava la commedia più adatta per far esordire il gruppo di cui faccio parte anche io, il “Danny Rose”.
E’ uno spettacolo riadattato agli anni ’30 e da l’opportunità di portare la commedia dell’arte in un altro mondo che è quello del varietà, dell’intrattenimento di quegli anni, senza perdere di vista ovviamente la trama originale, ma riadattandola ai nostri giorni e permettendoci delle fughe più libere sino ad arrivare quasi al cartone animato.
Pippo è un riadattamento di quello che è l’Arlecchino. Rimane vivo in lui il desiderio di mangiare e di trovare una donna, come nell’originale goldoniano e nella commedia inglese, però è un personaggio ovviamente diverso. Rimane scaltro e ingenuo, molto bambino, però, anche per scelta l’Arlecchino vive in altri personaggi nel nostro spettacolo, in particolare nel vecchio cameriere che entra nella famosa scena del ristorante.
Vive nelle varie “maschere” che ci sono all’interno della commedia. Ovviamente lo spettacolo, essendo riportato in epoca moderna non prevede l’’utilizzo di maschere, ma di quello che nel frattempo le maschere sono diventate, quindi delle tipologie di accenti, caratteri e comportamenti che poi hanno fatto parte e fanno parte della nostra commedia di oggi.
Una commedia che ci riporta agli anni trenta. Quanto c’è di attuale, di moderno in questo spettacolo?
C’è innanzitutto una forma di spettacolo con la S maiuscola che fortunatamente è ancora attuale. Le persone che vengono a vedere “Un servo per due“ escono fuori con gli occhi pieni di immagini. Con la possibilità di esser tanti attori in scena è una cosa che ce lo consente. E’ una forma di intrattenimento, che ultimamente in teatro, anche per ragioni produttive, è sempre più difficile da portare in scena.
Noi per fare questo siamo tutti pagati allo stesso modo, siamo due compagnie che si alternano durante la tournée e sono molto contento perché è una promessa che mi ero fatto. Siamo tanti e c’è un atmosfera di colore e di brillantezza che penso faccia parte del piacere di vedere questo spettacolo.
Un Servo per due lo hai definito un Sogno o Progetto perché questi ultimi, con il lavoro e la passione sono per definizione realizzabili. Da dove è partita l’idea di questo progetto/sogno?
C’è un gruppo che si chiama appunto Denny Rose che l’anno scorso ha preso per un paio di mesi un teatro di Roma e ha messo in scena 27 spettacoli e da li è nato il sogno di riuscire a formare una compagnia di repertorio, come c’erano in passato in Italia e come ci sono attualmente in altri paesi in Europa e negli Stati Uniti.
Per far questo ovviamente c’è stato bisogno proprio di un passo indietro rispetto a quello che è l’iniziale profitto di ognuno di noi, parlando propriamente in termini economici, e da li è nato il desiderio di costruire questo progetto a lungo termine che possa portare tutte le persone appartenenti a questo gruppo a far parte dei vari spettacoli. “Un servo per due“ è il primo di una serie di spettacoli che ci auguriamo lunga.
Ultimamente ti abbiamo visto poco in Italia, dopo un gran 2012 dove hai lavorato ne L’industriale, Romanzo di una strage, ACAB e Posti in piedi in Paradiso e un 2013 che è stato dedicato all’attività internazionale con World War Z e Rush, hai sentito l’esigenza di tornare a fare teatro?
E’ un’ esigenza che sentivo da tanto tempo e in più credo che nella carriera di un attore, sopratutto quando sia ha la fortuna di esser così visibili, dare un attimo di respiro a se stessi e al pubblico credo sia fondamentale. Il 2012 è stato un anno fortunatissimo per me, ma il rischio di saturare c’è sempre sopratutto in un’industria cinematografica come la nostra che non è ampissima.
Mi è sembrato giusto per me, per la mia vita privata, per la mia famiglia, le mie figlie, la mia compagna e anche per il pubblico.
Vengo dal teatro e il teatro è sempre dentro di me e continua ad esserlo. E’ anche un modo di ripagare il pubblico andando io a casa delle persone. Stavolta mi muovo io invece che loro quando vengono a cercarmi al cinema o in televisione.
Dal 19/12 al 06/01/2014 siete in scena al Teatro Ambra Jovinelli di Roma. E’ sempre un emozione per te tornare nella tua città?
Si però sono altrettanto contento come ti dicevo di andare in città di provincia, nei teatri che in Italia sono tantissimi. La possibilità di muovermi mi fa star bene. A Roma sono legato da tanti motivi, però son contento di andare in giro per scoprire teatri in cui non ero mai stato. Per capire la qualità di uno spettacolo devi viaggiare, il pubblico è diverso ovunque tu vai ed aver avuto in ogni parte le stesse sensazioni vuol dire che le cose sono funzionate nel modo giusto. Siamo stati in Svizzera e abbiamo avuto un’ accoglienza meravigliosa. Il nostro è uno spettacolo volutamente popolare fatto con grande professionalità e con il desiderio di contattare il pubblico anche fisicamente. La mia sensazione è che il pubblico avesse il bisogno di uno spettacolo del genere, più di quanto avevamo preventivato.
Per un attore come te, che è tanto amato qui in Italia quanto è importante il contatto con il pubblico?
E’ fondamentale anche perché si rischia sempre di pensare che il pubblico sia un entità astratta. Si parla molto spesso di pubblico come di un qualcosa che non ha un volto e invece guardare veramente in faccia le persone che decidono di venire a vedere lo spettacolo è una cosa che per me come attore è utilissima, perché il pubblico non rimanga un’ entità astratta. Il piacere di vedere bambini come anziani divertirsi allo stesso modo penso ci riporti tutti quanti noi al motivo per cui abbiamo scelto questo mestiere qui, quello che ci permette di comunicare le con le persone.
Grazie Pier Francesco per la bella chiacchierata.
Grazie a te Michele e un saluto ai lettori di Direttanews
Michele D’Agostino
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