
Il Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri è intervenuta alla Camera per la consueta relazione annuale sullo stato di salute della giustizia italiana, il funzionamento della quale continua ad essere “in sofferenza, pur a seguito dei numerosi interventi introdotti negli ultimi anni”.
I numeri sui processi pendenti nel nostro Paese, e solo alla data del 30 giugno 2013, sono impressionanti: “Si contano 5.257.693 di processi pendenti in campo civile e quasi 3 milioni e mezzo in quello penale”. Il Guardasigilli prova ad analizzare così questo fenomeno: “Siamo in presenza di un fenomeno imponente di dilatazione, in termini quantitativi, ma soprattutto qualitativi, del lavoro giudiziario, provocato non solo da un aumento della litigiosità nel campo civile o della attività criminale in campo penale, ma anche dalle trasformazioni della società”. Con la riforma della geografia giudiziaria “non solo sono state eliminate le strutture di modeste dimensioni, dove in alcuni casi era evidente la sproporzione tra il numero di persone addette all’ufficio ed il basso carico di lavoro, ma è stata anche alleggerita la pressione sugli uffici metropolitani di maggiori dimensioni, come Milano, Torino e Napoli”.
Secondo il ministro, dunque, i ritardi nella gestione dei processi sono dovuti non solo ad un numero maggiore di cause civili, alle quali spesso si ricorre per evitare percorsi più lunghi e tortuosi, ma anche ad una redistribuzione dei carichi di lavoro tra le strutture. Paradossalmente, sono i ritardi stessi nel giungere ad una sentenza a creare ulteriori contenziosi: la legge Pinto, infatti, tutela i ricorsi per il riconoscimento della responsabilità dello Stato per i ritardi in materia giudiziaria, che costituiscono gran parte delle pendenze.
La Cancellieri ci tiene poi a rassicurare sul tema dell’indulto e sugli effetti sociali disastrosi che molti politici gli hanno attribuito: “Mi preme ribadire che l’insieme delle misure programmate ed in corso di attuazione sul fronte delle carceri non produce un’alterazione dell’equilibrio sociale, poiché non è previsto alcun automatismo nella concessione dei benefici penitenziari. Ogni decisione è assunta dal magistrato di sorveglianza. Al Parlamento resta la responsabilità di scegliere se ricorrere a quegli strumenti straordinari evocati dal Presidente della Repubblica e che certamente ci consentirebbero di rispondere in tempi certi e celeri alle sollecitazioni del Consiglio d’Europa”.
In conclusione, il Ministro lancia uno stimolo d’ispirazione gramsciana: “L’attuale condizione di difficoltà in cui versa il sistema giudiziario non deve far prevalere l’erronea convinzione che le cose non possano migliorare, né costituire un alibi per l’immobilismo. Tutti possiamo contribuire a far sì che l’ottimismo della volontà prevalga sul pessimismo della ragione”.
Redazione