“Posh”: recensione

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Diretto dalla pluripremiata regista danese Lone Scherfig (An Education, One Day), il film Posh si basa sulla pièce teatrale di Laura Wade. La pellicola esce oggi nelle sale ed è stata girata in sei settimane tra Londra, Oxford, Winchester e presso i Pinewood Studios nell’estate del 2013.

I protagonisti del film sono tre fra i più talentuosi giovani attori di Hollywood: Sam Claflin (Hunger Games – La Ragazza di Fuoco, Biancaneve e il Cacciatore), Max Irons (The Host) e Douglas Booth (Romeo&Juliet, LOL).

La storia di fondo narra dello storico e immaginario circolo di Oxford: il Riot Club, fondato in onore di un uomo denominato Lord Riot, che morì nel 1776, e la cui eredità si diffuse ampiamente tra i membri. Era intelligente, ma molto dissoluto, un vero libertino, e il Riot Club ha l’obbligo di imitarne l’esempio. Pertanto, i suoi rappresentanti sono ricchi, arroganti, cinici e viziati. Sono dieci studenti universitari che aspirano soltanto a lasciare un segno, a diventare celebri. Ma in una serata, gli animi si scaldano e complice un vortice di alcool, un finale inquietante rovina la loro reputazione. Due le strade possibili: accusare il club per discolparsi, rischiando di essere estromessi per sempre dal giro di chi conta o barattare il proprio silenzio in cambio di un brillante futuro.

Posh si configura così come un’opera accattivante che fonde il tocco registico autoriale con la volgare raffinatezza di un club, emblema massimo dell’upper class, e il talento indiscusso degli attori. E saranno le sequenze caotiche ed esuberanti a mettere in luce il vero volto del Riot Club: una lobby pretenziosa, altezzosa, un luogo di prestigiosa aggregazione, ma anche di inarrestabile violenza e snobismo sociale.

Il fulcro, il cardine, il punto nevralgico della narrazione sta proprio lì: nella volontà di inquadrare la vacuità morale, emotiva e umana della ricchezza attraverso gli atti ignobili del famoso, quanto deprecabile Riot Club.

Posh è una denuncia morale, un’esposizione sul conflitto tra essere e apparire, una fotografia dell’ideologia associata a quelle élite secondo cui il denaro e un nobile lignaggio danno automaticamente il diritto di qualsivoglia comportamento.

In questo, Sam Claflin, Max Irons e Douglas Booth sono bravissimi a dare corposità ai loro personaggi e ad ostentare atti folli, osceni e brutali. È con la loro mimica, la loro espressività che esplorano i vizi di questo circolo segreto ed esclusivo scoprendone la depravazione, lo sfarzo annacquato dal potere, l’eleganza e l’arroganza… rapsodiche. È sarà proprio Richard Miles, uno dei protagonisti incarnato da Max Irons, che arriverà alla vera presa di coscienza, a uno stupore micidiale, con fenditure profonde nella carne. Allora, il pubblico non potrà fare altro che riconfermare l’unica grande verità di questo mondo: non sono i privilegi e i soldi a fare la ricchezza, ma il dono della vita che ci magnifica costantemente e non ci concede mai tregua.

Silvia Casini