
Aumenta la povertà e calano i consumi, mentre la disoccupazione rischia di diventare cronica. È l’impietosa fotografia della situazione delle famiglie italiane restituita oggi dal Cnel (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) nel suo Rapporto sul Mercato del Lavoro 2013 – 2014. Nel nostro Paese, scrive il Cnel, “le famiglie hanno modificato strutturalmente i propri comportamenti di consumo. Ampie fasce della popolazione stanno subendo un arretramento del proprio stile di vita. Sta aumentando la parte della popolazione che sperimenta condizioni di povertà“. Il potere d’acquisto dei salari, spiega il Cnel, “ha registrato un andamento abbastanza peculiare, con un significativo incremento nelle prime fasi della crisi e una caduta altrettanto marcata negli anni successivi, che ne ha riportato il valore sul livello della metà degli anni duemila”. Si è quindi verificato un arretramento di quasi dieci anni. La perdita complessiva del potere di acquisto degli italiani è stata del 6,7% tra il 2009 e il 2013, rileva il Cnel.
Sul fronte del lavoro, in Italia il ricorso al capitale umano da parte delle aziende “ha subito nell’ultimo decennio un rallentamento vistoso”. In questo scenario gioca un ruolo decisivo lo stato dell’istruzione e della formazione nel nostro Paese. Il livello medio di istruzione della popolazione in età lavorativa, spiega il Cnel, “è ancora inferiore rispetto alle principali economie occidentali, il rendimento dell’investimento in istruzione si è progressivamente ridotto, le imprese hanno una bassa propensione a formare il proprio personale e a remunerare adeguatamente i lavoratori con elevati livelli di istruzione”. “Il circolo virtuoso generato da una elevata remunerazione del capitale umano dei lavoratori e da maggiori profitti per le imprese sembra pertanto essersi rallentato – scrive ancora il Cnel -, aggravando le inefficienze allocative del capitale umano nel mercato del lavoro“.
Tra le cause della “ridotta valorizzazione del capitale umano“, si legge nel rapporto, c’è anche il basso livello di “investimento in ricerca e sviluppo del nostro paese”: l’1,27% del Pil nel 2012. “Decisamente inferiore alla media comunitaria” che è al 2,08%, sottolinea il Cnel. “La dinamica virtuosa che si è creata nei sistemi economici europei tra innovazione e ricerca, utilizzo di tecnologie e domanda di lavoro qualificato, in Italia non ha assunto una valenza altrettanto marcata”, aggiunge il Cnel. L’Italia “continua a caratterizzarsi per la scarsa efficienza allocativa del capitale umano, anche conseguente alla mancanza di interventi sistemici sul fronte dell’innovazione e della ricerca, che assumono un ruolo ancor più critico in momenti di recessione economica”, si legge ancora nel Rapporto sul Mercato del Lavoro 2013 – 2014.
Una situazione che porta anche all’aumento dei casi di lavoratori poveri, perché sottoccupati e precari. “Se tradizionalmente le difficoltà erano associate prevalentemente allo stato di disoccupato – spiega il Cnel -, adesso anche fra gli occupati sono frequenti i casi di privazione materiale derivanti da condizioni di sottoccupazione o di precarietà del lavoro“. Nel rapporto si legge che: “Il rischio di essere un working poor è cresciuto durante la crisi soprattutto per alcune categorie di lavoratori (i meno qualificati, con bassi livelli di istruzione e occupati in settori a bassi salari), tuttavia anche quei gruppi che tradizionalmente ne erano esenti (lavoratori autonomi con dipendenti e i più istruiti) sono stati investiti dal generale impoverimento“. Non solo, “anche il rischio di povertà di nuclei familiari con alcuni membri che lavorano (la cosiddetta inwork poverty) è aumentato con la crisi. In particolare, ad essere maggiormente esposti al rischio di povertà sono quelle famiglie in cui il lavoratore a bassa remunerazione è il principale se non addirittura l’unico percettore di reddito”, continua il rapporto.
Una situazione di grave difficoltà che non è destinata ad esaurirsi in breve tempo. Il Cnel, infatti, avverte che “l’ipotesi di una discesa del tasso di disoccupazione ai livelli ‘pre-crisi’, ovvero intorno al 7%, sembra irrealizzabile perché richiederebbe la creazione da qui al 2020 di quasi 2 milioni di posti di lavoro“. Pertanto “i progressi per il mercato del lavoro italiano non potranno che essere molto graduali“, spiega l’istituto. Il mercato del lavoro in Italia “potrebbe iniziare a beneficiare di un contesto congiunturale meno sfavorevole non prima dell’inizio del 2015” e comunque sarebbe “la migliore delle ipotesi“, precisa il Cnel nel suo rapporto.
Se si guarda poi alla disoccupazione in termini “reali”, e non solo meramente statistici, comprendendovi anche i disoccupati parziali e gli inattivi disponibili a lavorare (cosiddetta disoccupazione allargata), il relativo tasso è “giunto a superare il 30% nel 2013, senza peraltro mostrare segnali di rallentamento nella prima parte del 2014“, scrive il Cnel nel Rapporto sul Mercato del Lavoro 2013-2014.
Redazione