
Articolo 278 del codice penale: “Offese all’onore o al prestigio del Presidente della Repubblica. Chiunque offende l’onore o il prestigio del Presidente della Repubblica, è punito con la reclusione da uno a cinque anni”. Ovvero vilipendio del Capo dello Stato. Un reato di opinione, secondo molti, che – spiega chi ne chiede l’abolizione – verrebbe rispolverato di tanto in tanto, in maniera del tutto strumentale.
Un reato che, qualora vi fosse condanna, potrebbe far aprire le porte del carcere per il leader de ‘La Destra’, Francesco Storace, che – intervistato oggi da ‘Repubblica’ – spiega come si è arrivati al processo: “Era il 2007, governo Prodi. Feci una fortissima polemica contro il sostegno dei senatori a vita all’esecutivo in carica. Uno dei miei giovani usò sul blog la parola ‘stampella’ parlando di Rita Levi Montalcini. Lei scrisse al vostro giornale, Napolitano la ricevette e definì l’attacco ‘indegno’. Io gli risposi, politicamente, con le sue stesse parole: ‘Semmai è indegno il capo dello Stato’. Fu una scelta di comunicazione, pensai che finissi lì”.
Nell’intervista, Storace ricostruisce l’intera vicenda, dicendosi “solo rispetto alle istituzioni” e chiosando: “Mi preoccupa di più la galera della poltrona”. Nel frattempo, però, polemizza anche con quello che definisce “vilipendio a 5 stelle”, che non è oggetto di alcun provvedimento. Scrive l’ex senatore e ministro su ‘Il Giornale d’Italia’: “Può capitare che un deputato apostrofi come boia Napolitano e il fascicolo resti sotto la polvere; l’addetta stampa del gruppo parlamentare augura l’aldilà al presidente della Repubblica (‘è morto Giorgio, quello sbagliato’), e non succede nulla. Una senatrice lo bacchetta come boia e indegno – l’ultima è pari pari a quella per cui io sono sotto processo – ma il Guardasigilli è momentaneamente cieco”.
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