
L’assoluzione in Appello di medici, infermieri e agenti di polizia penitenziaria, nell’ambito del caso riguardante la morte di Stefano Cucchi, il giovane romano deceduto all’ospedale Sandro Pertini il 22 ottobre 2009, ha riaperto – in attesa di eventuali risvolti nelle indagini – il dibattito su quelli che sono i temi più controversi riguardanti il sistema carcerario italiano: al presunto abuso delle misure di custodia cautelare in carcere al sovraffollamento dei penitenziari. Su questi argomenti, lo scorso 23 ottobre, si era espresso anche il Santo Padre, parlando a un gruppo di giuristi dell’Associazione penale internazionale.
Parole, quelle di Papa Francesco, destinate a segnare un solco e che pongono serie riflessioni non solo tra i cristiani, ma anche tra laici e non credenti. Ha affermato il Pontefice in quell’occasione: “Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà sono dunque chiamati oggi o a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte, legale o illegale che sia, e in tutte le sue forme, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà. E questo, anche, io lo collego con l’ergastolo. Da qualche tempo, nel Codice penale del Vaticano, non c’è più, l’ergastolo. L’ergastolo è una pena di morte coperta”.
La questione non è di quelle destinate a passare in secondo piano: dall’inizio dell’anno, infatti, secondo ‘Ristretti Orizzonti’, sono 118 le persone decedute nei penitenziari, delle quali 38 per suicidio. L’ultimo, in ordine di tempo, è di tre giorni fa: un detenuto 28enne, Maurizio Riunno, morto suicida nel carcere di Como, lo stesso penitenziario dove appena venti giorni prima vi era stato un altro caso di suicidio.
Verità giudiziaria e verità mediatica
Intanto, emerge prepotente un’altra questione, messa nero su bianco dall’ex Procuratore della Repubblica di Napoli, Giovandomenico Lepore, nel corso della presentazione del saggio scritto a quattro mani con il giornalista Nico Pirozzi “Chiamatela pure giustizia (se vi pare)”. Spiega l’ex pm: “È innegabile che la vicenda Cucchi, come molti altri casi di cronaca italiana, presenti una doppia verità: quella emersa nel corso del processo e quella mediatica”.
Lepore articola poi quanto espresso: “Il solo fatto che non siano emerse specifiche responsabilità nei confronti degli imputati nel processo d’appello non può indurci a credere che sia un fatto normale che un ragazzo muoia per cause diverse da quelle naturali dopo aver varcato la soglia di un commissariato di polizia o di un carcere”. Secondo l’ex pm, “lo Stato in quanto tale è responsabile della vita di qualsiasi cittadino, sia esso un povero cristo o un criminale acclarato, nel momento stesso in cui particolari esigenze ne impongono l’affidamento in custodia. Che questo non sia accaduto per il giovane Stefano Cucchi è innegabile. E comprensibile è anche che i familiari continuino a battersi per la ricerca della verità vera”.
Si può davvero accettare che su un caso che ha ottenuto così tanta visibilità mediatica, diventando “simbolo” di tutte quelle morti in carcere che reclamano giustizia e verità, possano delinearsi due verità? Che credibilità avrebbe lo Stato agli occhi dell’opinione pubblica se passasse realmente l’idea che possano convivere due verità, quella giudiziaria e quella mediatica?
Una sconfitta per tutti?
Davvero ha ragione Magistratura Democratica, che attraverso il proprio comitato esecutivo parla del Caso Cucchi come di una sconfitta per tutti, a partire dallo Stato, il quale “può privare della libertà personale chi sia gravemente indiziato di un reato, ma ha il dovere indefettibile di garantirne l’incolumità”? E’ giusto parlare di “sconfitta per le forze dell’ordine, che, ancora una volta, non hanno saputo collaborare lealmente all’accertamento della verità” o al contrario – come fa il segretario del Sappe, Donato Capece – accusare Ilaria Cucchi, sorella del ragazzo morto, di “istigare all’odio e al sospetto nei confronti dell’intera categoria”?
“Questa sconfitta ci coinvolge come Magistrati e come cittadini: ci interroga sulla capacità del sistema di assicurare effettiva tutela ai diritti violati”, scrive Magistratura Democratica, secondo cui occorre “affinare le nostre capacità di ascolto e la nostra attenzione per le vicende umane sottese ad ogni procedimento”, imponendoci “un rinnovato impegno a presidio delle garanzie e a tutela dei diritti di chi è debole e non ha altra forza che quella che la Legge gli riconosce”.
Le critiche della società civile
Nel dibattito, la cui complessità è evidente, non mancano le riflessioni degli esponenti della società civile, in particolare di artisti che non hanno voluto stare a guardare in silenzio e hanno deciso di intervenire sulla questione; tra loro, Adriano Celentano si è rivolto direttamente a Stefano Cucchi, chiedendogli: “Hai capito adesso in che mondo vivevi? Certo dove sei ora è tutta un’altra cosa. L’aria che respiri ha finalmente un sapore. Quel sapore di aria pura che non ha niente a che vedere con quella maleodorante che respiravi qui sulla terra”. Il cantante e showman evidenzia che nella vita ultraterrena “si respira l’amore del ‘Padre che perdona’ e non di chi ti ha picchiato e massacrato fino a farti morire. Sei finalmente libero di amare e scorrazzare fra le bellezze del Creato, senza piu’ il timore che qualche guardia carceraria ti rincorra per ucciderti. Perchè dove sei tu non si può morire. La morte non è che un privilegio dei comuni mortali e quindi proibito a chi non ha la fortuna di nascere”.
Rivede nelle sofferenze di Stefano Cucchi quelle di Gesù Cristo il vignettista Makkox, che dedica al geometra romano una striscia, mentre Jovanotti, con un post su Facebook, riflette: “A me Stefano Cucchi mi sembra di conoscerlo. Questa famiglia potrebbe essere la mia, e la famiglia di tantissima gente, per questo ci si sta male, per questo è da ieri che se ne parla, si cerca di capire, ci si commuove e ci si arrabbia, e ci si vorrebbe stringere a questa famiglia“. Secondo il cantautore, “la vita è una tombola ma le Istituzioni dello Stato non possono esserlo, non devono esserlo mai. Quando la Polizia prende il consegna un cittadino disarmato, lo arresta, in base al diritto democratico quella persona deve potersi sentire totalmente al sicuro anche nel caso più estremo, anche se fosse il peggiore dei fuorilegge. E’ una cosa ovvia, la cosa più ovvia, la base stessa di una democrazia“.
GM