
Mentre il presidente del Consiglio e segretario del Partito Democratico Matteo Renzi , inizia oggi da Brescia il suo tour di aziende in Italia, nello sfondo permane la bufera politica riguardo al dibattito sul decreto delega lavoro con la minoranza del Pd e i sindacati.
In realtà il governo adesso è concentrato sulla Legge di stabilità 2015 che deve essere approvata il prima possibile anche se, secondo gli osservatori, come ben sottolineato dal Sole24ore, il governo impiegherà lo strumento della fiducia sul testo che approda oggi alla Camera, per ben due volte: ovvero negli scenari possibili, si pensa ad un voto di fiducia alla Camera e al Senato, e in quelli peggiori ad una terza lettura alla Camera, tanto che la legge di stabilità potrebbe essere varata solo a ridosso delle festività natalizie.
In tutto ciò, il premier deve fare i conti con un calo della fiducia e alcune questioni irrisolte sul piano della minoranza interna al suo partito sul jobs act che è ancora in commissione Lavoro alla Camera che parallelamente proseguirà con la discussione generale in parlamento, forse dando l’opportunità per un’intesa.
Renzi e i sindacati
Ma il clima è molto teso. Tanto più se si considera che ieri sono uscite alcune anticipazioni del libro di Bruno Vespa , intitolato “Italiani voltagabbana. Dalla prima guerra mondiale alla prima repubblica sempre sul carro del vincitore” che hanno suscitato nuove polemiche nella minoranza del Pd che ha criticato le affermazioni del premier che, rispondendo alle domande di Vespa, ha sostenuto che il testo sul jobs act rimarrà come quello del Senato, contrariamente a quanto stabilito nel corso di una direzione del Pd dove erano state chieste delle modifiche al testo. Ma non solo: nell’intervista, il premier ha anche ribadito la linea dura e intransigente rispetto ai sindacati che sono da settimane sul piede di guerra.
Una posizione che nonostante le accese discussioni mediatiche il leader del Pd ha ribadito in un’intervista rilasciata al programma “Prima Pagina” di Canale 5 andata in onda questa mattina.
Infatti, Renzi ha dichiarato che “il sindacato fa il suo lavoro”, augurandoli un “in bocca al lupo”, ma sostenendo che il lavoro del governo prosegue in quanto “il nostro obiettivo non fare una battaglia politica ma far ripartire l’Italia e su questo non molliamo di un millimetro”.
Eppure dal fronte sindacale, è dura la replica del leader della Fiom Maurizio Landini, sempre in prima linea e che in un’intervista a “In Mezz’ora” andata in onda ieri su Rai Tre ha affermato senza mezze parole che la battaglia sindacale andrà avanti: “Non ci fermeremo”, ha detto Landini, annunciando due scioperi generali a novembre, il primo a Milano il 16 novembre che riguarda il Nord e il secondo, il 21 novembre a Napoli che prenderà tutta la fascia del Centro Sud e Sud.
Ma Renzi che nel corso dell’incontro con gli industriali di Brescia è stato contestato da due accesi cortei, non demorde e ha di nuovo ricordato l’importanza che la riforma sul lavoro entri in vigore dal 1° gennaio.
“Oggi i numeri segnano un’inversione: gli ultimi dati Istat hanno rilevato la creazione di +153 mila posti di lavoro: è un’aspirina dopo che nel paese abbiamo perso oltre un milione di posto. Perciò non esultiamo, ma è un dato di fatto: questa aspirina mostra che c’è un’Italia che sta tornando a creare posti di lavoro”, ha dichiarato Renzi che poi rivolgendosi agli industriali ha proseguito rispondendo alle loro richieste.
“Ci avete detto della componente lavoro sull’irap, che il sistema di flessibilità in uscita fosse a carico dello Stato e non dell’impresa,ovvero se una persona perde il lavoro se ne deve far carico lo Stato, non l’imprenditore né il giudice e che l’Italia deve cambiare dai politici. E bene, dal 1° gennaio 2015 ci saranno regole nuove: avremo una tassazione che impedirà di utilizzare nell’irap il costo del lavoro, avremo ammortizzatori diversi per tutti e avremo la possibilità di fare a meno di rigidità burocratiche per i nuovi assunti, sia in entrata che in uscita. Infine- ha poi aggiunto Renzi- per i centri dell’impiego dobbiamo arrivare ad un sistema di maggiore tutela”.
Il premier non ha poi omesso di criticare in maniera celata le protesta dei lavoratori e quella sindacale di questi ultimi tempi sottolineando che “c’è l’idea di fare del lavoro il luogo dello scontro e di mettere gli uni contro gli altri: è un’idea che ha bloccato l’Italia. Se attraverso manifestazioni e proteste si potesse dividere in due l’Italia, quella dei padroni e del lavoratori: io dico- ha evidenziato Renzi- che non esiste una doppia Italia ma una sola Italia e l’Italia non consentirà lo scontro verbale legato al lavoro. Vogliono contestare il governo è un loro diritto, vogliono cambiare il premier, io voglio aiutare l’Italia. Contestino pure, ma senza fare delle sofferenze dei non tutelati il campo di gioco di uno scontro politico: se si parla di un diritto del lavoro lo affrontino nel jobs act ma non sfruttino il dolore dei disoccupati, cassaintegrati e precari. L’unico modo che per me è mirato a vincere la disoccupazione è il creare lavoro”.
Discrepanze con Pd
Per quanto riguarda invece le discrepanze con la minoranza del partito che fin dal Senato ha aspramente criticato le modalità della fiducia del governo sul decreto lavoro, il premier ha detto senza mezze parole che “le dinamiche parlamentari le vedremo alla Camera nei prossimi giorni. Se ci sarà bisogno di mettere la fiducia, metteremo la fiducia”, aggiungendo che “quello che è importante è che la fiducia non la perdano quelle donne e quegli uomini che vogliono ampliare il lavoro in Italia”. Una dichiarazione che in parte non considera gli ultimi sondaggi che vedono un calo di 7 punti percentuali del grado di fiducia degli italiani rispetto al mese di settembre, anche se il premier conserva un buon 54% dei consensi, non solo del suo elettorato.
Sull’ipotesi di una scissione con la minoranza del Pd, il premier è fiducioso tanto che a Canel 5 ha dichiarato: “È l’ora di finirla con le solite discussioni del passato. Credo che la scissione non ci sarà. Chi la minaccia o la ipotizza non si rende conto di quanto non sarebbe capita e sarebbe respinta dagli iscritti, dai volontari delle feste dell’Unità, dagli amministratori, perciò penso che non ci sarà”.
“Sono convinto che anche chi non mi ha votato al congresso del Pd sia disponibile a darmi una mano, perché non sono in ballo i destini dell’Italia e non quelli personali2, ha poi aggiunto il premier.
E, proprio su questo caso, come riporta l’agenzie il Velino, una fonte vicino alle trattative con la minoranza ha spiegato che la posizione espressa da Renzi a Vespa sul testo del decreto lavoro va interpretata “come una posizione negoziale dura per arrivare ad un successivo ammorbidimento, esattamente come accaduto con la riforma del Senato”, in quanto sottolinea la fonte “in fondo anche nel governo ammettono che non si può pretendere che un ramo del Parlamento timbri una legge come un pacco chiuso, senza cambiare una virgola“.
Tanto che viene ricordato che “l’accordo, in cambio della disponibilità di Renzi a inserire direttamente nel Jobs Act la modifica sull’articolo 18, prevede che la minoranza accetti di votare tutto con la fiducia”.
Insomma, la fonte conferma che “ci sarà dunque un emendamento” e che “la fiducia sarà messa sul testo che uscirà dalla commissione”.
L’iter per l’approvazione del Jobs Act, secondo la maggioranza del Pd, deve venire dopo il passaggio della Legge di Stabilità, in quanto come ha riferito Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro alla Camera, si rivela necessario discutere prima la legge di stabilità per verificare se vi sia la possibilità di accogliere le richieste della minoranza di aumento della dotazione per i nuovi ammortizzatori sociali: “Un minuto dopo la legge di Stabilità promettiamo l’approvazione del Jobs Act”, ha affermato il deputato Pd, Damiano, che però è del parere che “la delega sul lavoro deve recepire il documento sulla direzione Pd che prevede il reintegro anche per i licenziamenti disciplinari ingiustificati”, affermando che “il nostro obiettivo e’ quello di migliorare la delega lavoro. Rispetto al testo di partenza si sono già registrati degli avanzamento al Senato e per quel che riguarda l’art. 18 il testo approvato dalla direzione del Partito democratico che prevede la tutela per i licenziamenti per motivi disciplinari deve a mio avviso far parte della delega”.
Rassicurazioni anche da parte di Lorenzo Guerini, vicesegretario Pd, che ieri ha confermato che “per noi il punto di riferimento resta il testo approvato in direzione”.
C.D.