“La storia della Principessa Splendente”: recensione

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Dopo il grande successo di Si alza il vento, ultimo film del maestro Miyazaki, un altro capolavoro dello Studio Ghibli si appresta ad arrivare nelle sale italiane il 3, il 4 e il 5 novembre, distribuito da Lucky Red. Un evento imperdibile per tutti gli appassionati dello Studio Ghibli che potranno così vedere sul grande schermo La storia della Principessa Splendente , il nuovo film del regista culto de La tomba delle lucciole, di ritorno alla regia dopo I miei vicini Yamada, del 1999.

Ispirato a uno dei più popolari racconti giapponesi (Taketori monogatari, Il racconto di un tagliabambù), La storia della Principessa Splendente  narra le vicende di Kaguya, una minuscola creatura arrivata dalla luna e trovata in una canna di bambù da un vecchio tagliatore. Accolta e cresciuta come una figlia, la piccola cresce a vista d’occhio, affascinando tutti quelli che entrano in contatto con lei, fino a diventare una splendida giovane donna. Molti saranno i suoi pretendenti, ma nessuno sarà in grado di portarle quello che davvero desidera, e nessuno, nemmeno l’Imperatore, riuscirà a conquistare il suo cuore.

Tutto è prodigioso in questa vicenda, ma al contempo è soave, surreale, magico e intenso. In questa sorta di fiaba, empia di eterno fascino, infatti, il pubblico viene sin da subito catapultato in un mondo ad acquerello, in grado di suggerire la poesia del film, nonché il mondo onirico ad esso legato.

La storia della Principessa Splendente è un’opera di grande impatto emotivo che va dritta al cuore dello spettatore, e l’eroina per certi versi assomiglia a Heidi, la protagonista della serie tv animata del 1974, diretta proprio da Isao Takahata, con sequenze disegnate da Hayao Miyazaki. Entrambe infatti crescono immerse in uno splendido paesaggio montuoso, dal quale gli adulti le allontanano per farle vivere in città. Giunte nel vorticoso caos metropolitano, però, entrambe sentono una forte nostalgia per i bei tempi passati. Inoltre, la scrupolosa attenzione alla psicologia della principessa regala un intenso spessore all’ampio spettro dei sentimenti avvertiti dai singoli personaggi, e offre al pubblico un’umanità vivida, ricca di messaggi significativi e forti. La pellicola, infatti, parla dell’importanza di convivere con quello che ci trasciniamo dentro (sogni, desideri, ricordi, ecc.) a costo di affrontare dolori e fatiche.

E nell’insieme, l’intera pellicola regala un’avventura sonora e visiva senza precedenti, tant’è che lo spettatore non potrà fare a meno di venir risucchiato in universo fatto da morbide e delicate pennellate, né potrà sottrarsi alle sensazioni insite nella storia narrata. Ed è così che, dosando con magico equilibrio realismo e surrealismo, il capolavoro di Isao Takahata diventa una sorta di affresco minuzioso, ricco di particolari, denso di vivida grazia, di meraviglia e stupore. La storia della Principessa Splendente è un viaggio, quello che Kaguya compie sulla tumultuosa Terra, dove lacrime e sangue si mescolano a gioia e a dolore. Ma è anche un ritorno, quello che sempre Kaguya compie sulla sua amata luna, dominata da purezza e armonia. Però più di ogni altra cosa, è amore, passione, sofferenza, incanto.

La storia della Principessa Splendente  è un film evocativo che ha il privilegio di toccare le corde dell’animo con somma levità. È un’opera suggestiva avvolta da un’atmosfera a tratti reale, a tratti onirica che dà lievito al racconto. Infatti, il regista Isao Takahata ha lavorato con delicatezza le ricordanze del suo popolo, poi le ha impastate a un rapimento emotivo innescato da una fiamma segreta, quella del cuore, e infine le ha unite alle scelte del destino, conferendo all’intera storia un tono fiabesco, un accento fiero, incastonandovi dentro uno dei suoi sguardi più morbidi, uno dei suoi respiri più pastosi in grado di liberare sequenze elegiache, piene di sublime bellezza. È un lungometraggio che ha la capacità di farci riflettere sulle nostre vicende personali, sulle mappe segrete che ci trasciniamo dietro, per volere di Dio, del fato o semplicemente per l’umana fragilità. L’unico sentire possibile in grado di illuminare le cicatrici di tutte le nostre vecchie ferite, e di farci toccare con mano ferma tutte le parole, i colpi e i battiti che furono carne.

Silvia Casini