Ebola, il flagello è anche economico

Liberia Races To Expand Ebola Treatment Facilities, As U.S. Troops Arrive
Liberia, donne in attesa di cure (John Moore /Getty Images)

Le navi che un tempo facevano scalo nelle coste dell’Africa Occidentale passano oltre. L’epidemia dell’Ebola è anche questo: una costante paura del contagio che fa crollare il commercio, il turismo e ogni genere di scambi con le zone raggiunte dal virus. Aree vastissime, che coincidono con la totalità del territorio di almeno tra stati africani: Liberia, Guinea e Sierra Leone. Paesi che ora sono come staccati dal, mondo in termini economici e sociali. Altrove il virus è comparso, ha colpito saltuariamente ed è stato cacciato indietro. La vita e la fragilissima economia dei Paesi sfiorati è così rimasta intatta o quasi. Per i tre Paesi maggiormente colpiti dal virus, invece, l’Ebola hoa prodotto una piaga ulteriore, altrettanto profonda e mortale. In Liberia l’attività mineraria si è ridotta e, inevitabilmente, la disoccupazione ha cominciato ad espandersi, come un virus. La chiusura delle frontiere ha strozzato il commercio transnazionale. Le conseguenze sono ben visisbili nel lavoro agricolo con i campi semi deserti: del resto se non si riesce a vendere si produce solo l’essenziale. In mercati già poveri il cibo scarseggia ed è diventato costoso. Un lusso, o quasi. Una beffa, un eterno ritorno a quel dramma di povertà e approvvigionamento che è stata forse la principale causa dell’epidemia.

La ricerca di cibo spinse infatti la popolazione a ricorrere sempre più spesso, alla cosiddetta Bushmeat la “carne delle foresta” animali selvatici cacciati macellati e consumati quotidianamente; carne abitualmente venduta nei poveri mercati locali. Tra la fauna cacciata i pipistrelli volpe, notoriamente portatori sani del virus. Povertà su povertà dunque, con’ l’intero sistema statale dei tre Paesi dell’Africa occidentale a soffrirne. L’Ebola è divampato come un incendio, che bruciando ha attirato a sè  le pochissime risorse di cui l’Africa Occidentale dispone in termini di servizio sanitario. Inesorabilmente, le altre malattie sono scomparse dai piani di prevenzione, come fossero state debellate per sempre. In realtà sono sempre presenti, e letali talvolta, ma scompaiono se confrontate con il male maggiore, l’Ebola. Le scuole sono ormai edifici in disuso, chiusi da mesi.

La Banca Mondiale prevede che la diffusione del virus Ebola costerà alla Sierra Leone 163 milioni di dollari, pari al 3,3 % del Pil, e alla Liberia 66 milioni, il 1 2%. Numero che scaturiscono da altri numeri: i 14 mila contagiati dal virus, secondo le stime ufficiali, di cui almeno un quinto bambini secondo l’Unicef. I morti accertati sono circa 5 mila. Solo un numero, forse, con la realtà che sembra raccontare una vicenda due volte più tragica: è la stessa l’Organizzazione Mondiale della Sanità’ ad ipotizzare almeno il doppio dei decessi. L’agenzia Onu per l’infanzia, parla di almeno 4 mila i bambini diventati orfani in seguito alla diffusione della malatti. I morti da Ebola lasciano bambini soli.  E sono almeno 5 milioni i bambini “circondati dalla morte”, ossia dall’Ebola:  in Africa Occidentale ormai le due parole tendono a fondersi ormai in una sola. Bambini “allontanati per la loro protezione in centri di quarantena, – riferisce ancora l’Onu – senza sapere se i loro genitori sono vivi o morti”. Una crisi umanitaria da cui non sarebbero immuni neanche altri Paesi della regione.

E se Liberia, Guinea e Sierra Leone sono come staccati dal mondo in termini economici e sociali la loro distanza e solo ideale. Per altri aspetti i tre Paesi africaio sono vicini, pericolosamente prossimi agli altri. Secondo l’Oms nei prossimi Mali, Senegal e Nigeria potrebbero dover fronteggiare 10 mila nuovi casi di Ebola ogni settimana,. “Senza le fondamentali infrastrutture sanitarie pubbliche  – spiega Margaret Chan, direttrice generale dell’Oms –  nessun Paese è stabile. Nessuna società è al sicuro”.

Porti visti da lontano e scuole vuote. L’Ebola è anche questo.

ADB