
A 36 anni e mezzo di distanza, il caso della morte del presidente Dc Aldo Moro si arricchisce di un nuovo colpo di scena; a rivelarlo è il procuratore generale di Roma Luigi Ciampoli, il quale ha spiegato di aver chiesto alla Procura della Repubblica di procedere formalmente a carico di Steve Pieczenik, funzionario del Dipartimento di Stato Usa ai tempi del sequestro del leader democristiano da parte delle Brigate Rosse.
Ciampoli, sentito dalla commissione parlamentare d’inchiesta sul rapimento di Moro, ha spiegato: “Sul palcoscenico di via Fani c’erano i nostri servizi segreti e quelli di altri Paesi stranieri interessati a creare caos in Italia, l’uccisione di Aldo Moro non fu un omicidio legato soltanto alle Brigate Rosse”. Su Pieczenik, secondo il procuratore, penderebbero “gravi indizi circa un suo concorso nell’omicidio”.
Dice Ciampoli: “Sono emersi indizi gravi circa un suo concorso nell’omicidio, fatto apparire, per atti concludenti, integranti ipotesi di istigazione, lo sbocco necessario e ineludibile, per le BR, dell’operazione militare attuata in via Fani, il 16 marzo 1978, ovvero, comunque, di rafforzamento del proposito criminoso, se già maturato dalle stesse BR”.
Il procuratore chiama in causa anche un’intervista che l’esperto Usa, consulente dell’allora ministro dell’Interno Francesco Cossiga nel comitato di crisi istituto il 16 marzo 1978, ha rilasciato in una trasmissione televisiva condotta da Giovanni Minoli: “La sua autoreferenzialità era esasperata e quasi schizofrenica, perché lui in una intervista a Giovanni Minoli su Rai Storia raccontò che Moro doveva morire perché in questo modo si sarebbero destabilizzate le Brigate Rosse. Noi abbiamo acquisito il cd di quell’intervista televisiva e tutto il girato completo e siamo convinti che la sua posizione meriti un approfondimento da parte della Procura”.
Le accuse
Nei confronti di Steve Pieczenik vi sono delle accuse che arriverebbero da quanto lo stesso consulente Usa avrebbe affermato in un libro-intervista uscito a trent’anni dalla morte di Moro, nel quale affermava di aver messo in atto un vero e proprio piano di “manipolazione strategica” perché si arrivasse all’uccisione da parte delle Brigate Rosse del presidente Dc, un delitto ‘utile’ alla stabilizzazione del nostro Paese, arrivando a spiegare: “Fino alla fine ho avuto paura che lo liberassero”.
Le reazioni
Mentre la nuova commissione di inchiesta sul caso Moro non si lascia andare a troppe dichiarazioni sulle affermazioni di Ciampoli, per tutti parla il presidente della medesima commissione, Giuseppe Fioroni, che al ‘Velino’ fa un’ammissione che apre senza dubbio nuovi scenari nella ricerca della verità sulla morte del presidente Dc: “Io mi muovo sempre con estrema prudenza e cautela. Vedo che la commissione ha la responsabilità di mettere, in un senso o nell’altro, la parola fine ad una vicenda che non fa onore alla credibilità dell’Italia. Dopo 36 anni abbiamo il dovere di sapere le tante cose che non sappiamo. Fa male dover dire ancora oggi ai nostri figli e ai nostri nipoti che non sappiamo chi c’era a via Fani, se il tamponamento c’è stato o meno, dove è stato detenuto Moro e come è stato ucciso”.
GM