Jobs Act, il centrodestra non vuole le modifiche

Maurizio Sacconi (Getty Images)
Maurizio Sacconi (Getty Images)

 

Jobs Act: le modifiche non piacciono al centrodestra, sia esso di governo o di opposizione. L’unico che sembra disposto a discuterne è il capogruppo al Senato del Nuovo Centrodestra, Maurizio Sacconi, che ieri pomeriggio aveva alzato le barricate dopo l’accordo interno al Pd e che oggi invece spiega: “Il dialogo immediatamente riattivato nella maggioranza ieri sera dopo le mediazioni interne al Partito democratico deve ora condurre ad una posizione condivisa del governo su pochi emendamenti senza passi indietro, ovvero che confermino l’impostazione del Senato”.

“Lo Statuto dei lavoratori deve essere sostituito da un testo unico innovativo fatto di regole semplici e certe”, è il pensiero dell’ex ministro, che poi prosegue: “Il contratto a tutele crescenti deve consentire che i rapporti di lavoro si risolvano nel caso di licenziamento ingiustificato con indennizzi, limitando la reintegrazione ai licenziamenti nulli, che comprendono i discriminatori, e al più a estreme fattispecie di licenziamenti disciplinari che si avvicinano a quelli discriminatori. Quanto alla flessibilità delle mansioni deve rimanere quella definita dal Senato”.

Per il resto, tante sono le accuse al Partito Democratico; secondo Irene Tinagli di Scelta Civica, “sulle riforme non possiamo fare un passo avanti e uno indietro, non siamo al gioco dell’oca. Il testo al Senato aveva ottenuto l’accordo di tutti, perchè cambiarlo? Così si costringe a un nuovo passaggio a Palazzo Madama e si allungano i tempi”. Spiega la deputata, che pure ha transitato nel Pd di Veltroni: “Tornare indietro è un cedimento alla minoranza del Partito Democratico che annacqua il testo e fa perdere ulteriore tempo”.

I capigruppo al Senato e alla Camera di Scelta Civica, Gianluca Susta e Andrea Mazziotti, sostegno che il Jobs Act è un punto cardine del loro programma, al quale hanno “contribuito in modo decisivo – attraverso l’opera di Pietro Ichino – alla preparazione del testo approvato dal Senato”. Perciò, “occorre superare una volta per tutte la normativa attuale, incluso l’articolo 18. Per questo non saremo disponibili ad alcuna modifica sostanziale dell’impostazione del provvedimento”.

Di provvedimento voluto dalla Merkel parla Gianluca Buonanno, eurodeputato della Lega Nord: “Il Jobs Act è dichiaratamente un patto concordato a Bruxelles ed Angela Merkel ne è la prima firmataria. L’ennesima presa per i fondelli di un governo che sta trascinando il Paese nel baratro. I dati diffusi stamane dall’Istat segnano un collasso verticale, Renzi ci ha riportato indietro di quindici anni”.

Forza Italia

Ma le posizioni più intransigenti ancora una volta arrivano da Forza Italia, con il capogruppo alla Camera, Renato Brunetta, che si chiede: “Perché continuare a prendere in giro gli italiani? Perché raccontare balle in merito a tutele o ammortizzatori sociali previsti dal Jobs Act quando nella legge di stabilità non ci sono le risorse sufficienti? Perché dire che l’articolo 18 ‘va finalmente superato’ quando invece non cambierà nulla?”. Per Brunetta, il Jobs Act è “l’ennesimo imbroglio gattopardesco di Renzi e del suo governo: cambiare tutto per non cambiare niente”.

E sulla nota politica redatta dallo staff del gruppo Forza Italia della Camera dei deputati, ‘Il Mattinale’, si legge: “Ecco tornato il totem della sinistra italiana. Dopo la grande finzione del suo abbattimento, esso è ripiantato più solido che mai. Renzi ha manifestato la sua natura di pokerista esperto in bluff”. Accusano i deputati azzurri: “Renzi ha promesso, annunciato, ha fatto spot per mesi, è andato in giro per l’Italia a raccontare a lavoratori e imprenditori una riforma del lavoro che doveva semplificare il quadro, che doveva eliminare le rigidità esistenti a favore di una maggiore flessibilità, soprattutto in uscita. Via l’articolo 18, aveva detto. Adesso scopriamo che non è cambiato assolutamente nulla. Ha vinto la minoranza Pd, ha vinto la Cgil, il totem non si tocca”.

Infine il capogruppo al Senato, Paolo Romani: “Quanto accaduto al Senato negli ultimi minuti prima del voto di fiducia sul Jobs Act si è riproposto alla Camera: il Governo ha ceduto ancora ad ulteriori richieste della minoranza PD annullando completamente la tanto annunciata rivoluzione sul lavoro”.

 

GM