La rabbia dei messicani contro il narcotraffico

Dimostranti in Messico  (Omar Torres/Getty Images)
Dimostranti in Messico (Omar Torres/Getty Images)

Il Messico è da giorni in fiamme. Mercoledì, centinaia di studenti e insegnanti hanno provocato disordini presso la sede del parlamento dello stato di Guerrero, uno dei più collusi col cartello del narcotraffico. I messicani sono sfiniti, vogliono sapere cosa ne è stato dei 43 studenti scomparsi a Iguala lo scorso 26 settembre. Anche la conferenza episcopale dei vescovi del paese, dopo l’appello del Papa, ha inviato una nota contro “violenza, dolore, vergogna, desaparecidos”. La società civile si ribella ai massacri, che arrivano proprio dalle istituzioni. La vicenda di Iguala: secondo la versione della Procura della Repubblica, sarebbe stato proprio il sindaco, José Luis Abarca (ora in manette) a consegnare i giovani a un gruppo di criminali “Guerreros Unidos”, preoccupati dalla visibilità della manifestazione antidroga che i ragazzi stavano apprestandosi a realizzare. Le prove però scarseggiano e centinaia di migliaia di messicani non vogliono crederci. La rabbia è esplosa definitivamente contro un governo che stenta a dare risposte nella lotta alla criminalità, che con la sua violenza cancella il futuro dei giovani e del paese. Le mobilitazioni quotidiane, il blocco di autostrade, centri commerciali e aeroporti sembrano essere solo l’inizio. Dopo le denunce internazionali, la richiesta di dimissioni del capo dello Stato sembra essere prossima. Il 20 novembre indetto uno sciopero generale.

C.M.