
Il processo Eternit potrebbe concludersi con l’annullamento della condanna in quanto i reati sarebbero prescritti; a chiederlo, infatti, è il pg della Cassazione, Francesco Mauro Iacoviello, nel corso dell’udienza dell’ultimo grado di giudizio, davanti alla prima sezione penale della Cassazione presieduta da Arturo Cortese, mentre fuori si consumava la proteste dei familiari delle vittime. Netta la richiesta di Iacoviello: “Annullamento senza rinvio della condanna a Stephan Schmidheiny perché tutti i reati sono prescritti”.
Ha spiegato il pg: “Piegare il diritto alla giustizia, può fare giustizia oggi ma creare in futuro mille ingiustizie. Gli inglesi dicono che casi difficili creano brutte leggi. Può capitare che diritto e giustizia vadano in direzioni contrapposte, i giudici non hanno alternativa, devono seguire il diritto”. Iacoviello ha proseguito: “Siamo in presenza di un leading case, un primo processo in Italia che ha implicazioni notevoli e attese notevoli non solo per le persone coinvolte ma per la comunità scientifica perche voi creerete un precedente per il futuro”.
“Le motivazioni adottate dal Procuratore sconcertano e rischiano di scatenare effetti ben oltre i territori coinvolti. Si è sostenuto l’annullamento in quanto i fatti risalirebbero agli anni ’70 e quindi prescrivibili”, commenta in una nota la Cgil, sostenendo: “Si ricorda a questo proposito che le sentenze di primo grado e di appello avevano stabilito che si trattava di ‘disastro ambientale doloso permanente’ e che le cause sono tutt’ora vive ed operanti e continueranno a determinare effetti disastrosi per le persone coinvolte. L’auspicio quindi è che la Corte non accolga tale richiesta, i lavoratori e i cittadini continueranno comunque a richiedere giustizia”.
La storia processuale
L’inchiesta, il cui epilogo dotrebbe arrivare nelle prossime ore, era partita nel 2003, condotta dalla Procura di Torino sotto la guida del pm Guariniello e faceva riferimento al periodo in cui l’Eternit ha prodotto amianto in Italia, dal 1966 al 1986 (anno in cui la società è fallita), nei quattro stabilimenti di Casale Monferrato (il Comune più colpito), Cavagnolo (Torino) Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). I morti a causa dell’amianto sono stati più di 2.200, 700 quelli malati di asbestosi. Il tributo più grande l’ha pagato Casale Monferrato con suoi 1.500 morti, tra lavoratori e cittadini contaminati.
Nel febbraio 2012, arrivò finalmente la sentenza di primo grado, che vide i due imputati, lo svizzero Stephan Schmidheiny, 65 anni, e il belga Jean Louis Marie Ghislain de Cartier de Marchienne, ex dirigenti della multinazionale svizzera produttrice di amianto, accusati per non aver tutelato la salute dei propri dipendenti, sono stati condannati a 16 anni di carcere, a fronte dei 20 richiesti dal pubblico ministero Raffaele Guariniello. I due erano accusati di disastro doloso permanente e omissione dolosa di misure antinfortunistiche.
Commentando la sentenza, il ministro della Salute di quel periodo, Renato Balduzzi, sostenne “Senza enfasi si può definire davvero storica, sia per gli aspetti sociali che per gli aspetti strettamente tecnico-giuridici”. Soddisfazione venne espressa anche dal procuratore capo di Torino, Giancarlo Caselli: “I processi Thyssen ed Eternit dimostrano che qualcosa è cambiato e sta cambiando, più cultura e più sensibilità per quanto riguarda la tutela dei diritti fondamentali del cittadino”.
In appello, la condanna aumentò nei confronti del solo Schmidheiny, dichiarato colpevole con il reato di disastro doloso e omissione dolosa di misure anti-infortunio. Qualche settimana prima della sentenza, infatti, era venuto a mancare l’altro imputato. Le richieste del procuratore Guariniello erano state anche in quell’occasione di vent’anni di reclusione. “Si tratta di un importante passo nella direzione di un giusto riconoscimento a chi ha pagato un prezzo durissimo per un utilizzo sconsiderato di alcuni matreriali e soprattutto una sanzione a chi ha esposto vite umane, lavoratori, a un rischio inaccettabile”, fu il commento alla sentenza del ministro dell’ambiente Andrea Orlando, ai microfoni di Radiouno Rai.
GM