
La metafora della montagna che partorisce il topolino, in merito all’emendamento al Jobs Act presentato dal governo, viene ripresa dal capogruppo alla Camera di Forza Italia, Renato Brunetta, che sottolinea come il suo partito “non ha mai creduto che la dozzina di parole scritte nel testo approvato dal Senato (contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in ragione dell’anzianità di servizio) fossero idonee a fornire un quadro di legittimità costituzionale ad una revisione profonda della disciplina del licenziamento individuale”.
In precedenza, l’ex ministro aveva parlato di “governo Renzi in fuga”, sottolineando come “l’esecutivo scappa dalla realtà, scappa dal fango delle alluvioni, scappa dai luoghi del disagio sociale. Adesso scappa anche dal Parlamento, dalle Commissioni e dal confronto democratico che in queste sedi istituzionali dovrebbe avere il suo apice”. Per Brunetta, “l’articolo 18, che doveva essere negli slogan del premier il vero protagonista di questo provvedimento, non cambia assolutamente: esce dalla porta per tornare sotto medesime vesti dalla finestra”.
Nel suo giudizio negativo, Brunetta si trascina dietro – con inflessioni diverse ma con il medesimo concetto – tutta Forza Italia. Mariastella Gelmini, vice capogruppo vicario a Montecitorio, ad esempio, annota che “gli slanci riformisti del governo affogano ancora una volta nella palude della mediazione a oltranza e si rivelano in tutta la loro velleità”, mentre la giovane capogruppo in Commissione Lavoro, Annagrazia Calabria, che ieri con gli altri esponenti ‘azzurri’ ha abbandonato i lavori, ribadisce la protesta a oltranza: “Continueremo a disertare i lavori della commissione Lavoro fino al passaggio del provvedimento in assemblea. Non solo perché non condividiamo i passi indietro che sono stati fatti sull’impianto di una delega praticamente in bianco, ma soprattutto perché il metodo di esame è assolutamente inaccettabile”.
Se va bene a Sacconi e Damiano…
E mentre l’ex ministro Stefania Prestigiacomo fa notare che “con il Jobs act il governo Renzi ha fatto l’ennesimo buco nell’acqua”, Elvira Savino commenta: “La maggioranza del Pd canta vittoria, ma anche la minoranza del Pd canta vittoria. Sacconi canta vittoria, Damiano canta vittoria. Se la riforma del lavoro piace contemporaneamente sia a chi sta con Renzi sia a chi sta con la Camusso, evidentemente ci deve essere qualcosa che non va”. Stesso concetto espresso ad Omnibus dal deputato Francesco Paolo Sisto: “Se Sacconi e Damiano sono entrambi felici per la formulazione del Jobs Act, vuol dire che si tratta di un provvedimento neutro, o meglio neutrale, che rimanda ad una fase successiva l’individuazione dei contenuti. Insomma, al momento c’è solo un contenitore”.
Nel Pd
Ma all’interno del Partito Democratico, il presidente della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia, manifesta al ‘Velino’ tutta la propria insoddisfazione per il provvedimento: “Questo testo non avrà la mia firma, a meno che il governo non trovi almeno 1,5 miliardi per il lavoro che dovranno essere previsti nella legge di stabilità”. Secondo Boccia, ultimamente molto polemico con il governo e con la leadership del suo partito, “quella mediazione non ci sta bene: non solo non c’è un euro per tutti i lavoratori atipici, ma dalla prima attuazione della delega ci si renderà conto che chi passerà dalla cassa integrazione ai nuovi ammortizzatori sociali voluti dal ministro Poletti prenderà meno. Il che è abbastanza drammatico per chi già ora prende 900 euro e che con l’Aspi (che peraltro taglia il cordone ombelicale con l’azienda) ne riceverà 7-800”.
Il fronte si allarga
Ma il fronte dei contrari al provvedimento, anche dopo che Uil e Ugl hanno rilanciato sullo sciopero generale, è sempre più ampio, come testimoniano anche le dure prese di posizione a destra di Forza Italia; per il deputato di FdI-AN Massimo Corsaro, “l’emendamento governativo al Jobs Act rappresenta una deludente marcia indietro rispetto allo spirito di innovazione che Renzi aveva fatto intendere di voler realizzare alla presentazione del provvedimento. Una volta di più, alle parole roboanti seguono fatti deludenti”.
Durissimo il leader della Lega Nord, Matteo Salvini: “Il jobs act è una bufala, una sòla come si dice a Roma. Stanno litigando dentro al Pd e a pagare sono gli italiani”. Spiega Salvini: “L’unica riforma del lavoro possibile è il dimezzamento delle tasse con un’aliquota fiscale secca e unica del 15%, sia per le famiglie che per le imprese: via la legge Fornero e gli studi di settore e l’Italia tornerà a correre”.
In pratica, il provvedimento contesta tutti: sia chi si aspettava maggior coraggio da parte del governo, che chi punta decisamente a mantenere le tutele attuali. Ma anche chi sostiene e si fa promotore di un deciso cambio di rotta, che passa appunto per l’addio alla riforma Fornero e per la rottura con i diktat imposti dall’Unione Europea.
GM