
Le polemiche sulle parole di Landini ieri a Napoli, la presa di posizione di Renzi alle colonne del quotidiano ‘La Repubblica’, stamattina, ma non solo. L’Italia è in fermento e l’autunno caldo diventa caldissimo, rovente, costringendo il premier ad arrancare, in calo di consensi che – rispetto a un passato recente segnato dal boom del Movimento 5 Stelle – è difficile stabilire dove potrebbero andare a finire: il centrodestra è in crisi di consensi e quelli della Lega di Salvini sono perlopiù legati al tema dell’immigrazione. A meno che non emerga “l’uomo nuovo”, il dissenso e i nuovi focolai di conflitto rischiano di sfociare in un nuovo vertiginoso aumento dell’astensionismo, ormai molto al di sopra di ogni record dell’Italia repubblicana.
E mentre Landini, tornando su quanto affermato ieri, sul quotidiano ‘La Repubblica’ si scusa per aver detto “una cavolata”, anche se “può far comodo utilizzare la frase di Landini per nascondere il messaggio di protesta che arriva dai luoghi di lavoro e dai precari”, a ‘La Stampa’, il vicesegretario del Pd, Debora Serracchiani, sembra non accorgersi di un certo dissenso che c’è nel Paese intorno al Jobs Act e sostiene: “La crisi è tale che vanno riviste anche regole vecchie di quarant’anni”.
Dice la Serracchiani: “Noi facciamo per la prima volta, ed è di sinistra, un contratto a tempo indeterminato che costa meno di tutti gli altri. Estendiamo le tutele a chi non le ha mai avute, come la maternità, riformiamo gli ammortizzatori sociali. Il governo cerca anche di rispondere ad alcune richieste pressanti, come i fondi per la famiglia nella legge di stabilità. Sinceramente non capisco fino in fondo perché si convochino le piazze”.
Un punto non sembra essere chiaro alla presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia: “C’erano più ragioni quando la Fornero ha toccato profondamente l’articolo 18 con il governo Monti. Non hanno fatto lo sciopero generale per la riforma delle pensioni e lo fanno ora con un governo di sinistra”.
Il muro del consenso
Nessuna paura di una spallata, assicura la Serracchiani, “se qualcuno ha in mente questo si sbaglia di grosso: la spallata si infrangerebbe tro un muro, il muro di consensi che sostiene l’esigenza di cambiamento”. Per capirci meglio: “C’è tanta gente che ci chiede di non mollare e apprezza quanto stiamo facendo, magari non condividendo il metodo o i toni: ma onestamente il fatto che si debba andare fino in fondo è un indicazione che ci viene da più parti e la vedremo confermata anche dalle urne domenica prossima”.
Non vogliamo pensare che per la Serracchiani, a fronte di un astensionismo che verosimilmente sfonderà la soglia del 50%, non vi sia una crisi della rappresentanza, ma dalle sue parole si evince che il suo partito avrebbe superato queste difficoltà: “C’è una crisi di rappresentanza che investe non solo la politica, ma anche il sindacato: il Pd e Renzi se ne sono accorti prima di altri, ma il governo non ha mai rinunciato al confronto quando si parla di lavoro o nei tavoli di crisi. Certo è un governo che decide e fa le cose”.
Dalla Serracchiani arriva infine un’ammissione: “Quello dell’astensionismo è un problema che viene da lontano e ci stiamo impegnando affinchè la gente si riavvicini alla politica. Mi auguro che domenica prevalga la partecipazione. C’è nelle piazze tanta rabbia, paura ed esasperazione di chi non vede la fine del tunnel. Ma non si deve politicizzare questo malessere profondo”.
C’è da sottolineare che nel 2006 l’affluenza era all’83%, due anni dopo calava di appena due punti, ma nel 2013 probabilmente soltanto grazie al boom del Movimento 5 Stelle raggiungeva il 75%. Per non parlare delle recenti elezioni europee, dove solo il 57% degli italiani, compresi quelli residenti all’estero, si è recato alle urne: sono sempre otto punti percentuali in meno rispetto a otto anni prima e ancora una volta a tenere alto l’indicatore sono i quasi sei milioni di voti pentastellati che non si potevano, almeno in quel momento, collocare altrove.
Il Pd e i poteri forti
Nel frattempo, all’interno del Partito Democratico, arrivano nuove affermazioni di dissenso, firmate dall’ex viceministro dell’Economia, Stefano Fassina, che al Gr1 ammonisce: “Questo Pd mi preoccupa perché è sempre più in linea con gli interessi più forti e meno vicino agli interessi e alle domande delle persone che cercano lavoro e che sono precarie”. Quindi boccia il Jobs Act, il provvedimento che le piazze contestano ma che la maggioranza Pd ‘benedice’: “La soluzione trovata non è soddisfacente. Rimane un intervento che fa arretrare le condizioni del lavoro, e la parte che dovrebbe contrastare la precarietà è puramente virtuale e senza risorse”.
Fassina annuncia quindi il suo voto contrario in Aula: “Presentare emendamenti, dati i numeri in aula alla Camera, non avrebbe avuto senso. Sarebbe stato solo un modo per ritardare. Esprimeremo la nostra valutazione negativa nel voto che si farà sul provvedimento”. Conclude l’esponente della minoranza Pd: “Il tentativo di Renzi è un’innovazione regressiva. È evidente che il cambiamento è necessario, ma dev’essere un cambiamento progressivo. Invece l’innovazione proposta da Renzi è solo un’illusione: l’illusione che svalutando il lavoro si possa generare crescita e ripresa”.
No ai politici in piazza
Nel frattempo, il day after della manifestazione della Fiom a Napoli, arriva un richiamo alla politica firmato dal presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro, che dice a ‘Il Mattino’: “Sono a favore della piazza quando è democratica, non violenta, di protesta ma anche e soprattutto di proposta. E’ essenziale per la democrazia, non si può non ascoltarla. Esprime un disagio. Sarebbe un errore pensare di agire diversamente“.
C’è un “però”, nelle sue affermazioni: “È la politica ad avere un compito diverso. Può naturalmente condividere le ragioni di chi protesta, ma le istituzioni e gli amministratori devono pensare a risolvere i problemi e a fornire risposte concrete e percorribili a chi scende in piazza“.
GM