
Si delinea numericamente la consistenza del numero di dissidenti all’interno del Partito democratico che dovrebbero votare contro il Jobs Act, dopo che già ieri su un emendamento di Sel in 17 si erano espressi in maniera difforme dalla maggioranza del partito. Sarebbero una trentina, in testa l’ex presidente del partito, Gianni Cuperlo, che ha sottolineato: “Noi non ci sentiamo di esprimere un voto favorevole su Jobs act. Il punto a cui si è arrivati non è soddisfacente. Il problema non è come licenziare, ma come assumere”.
Tra i contrari anche Pippo Civati, che sul suo blog ha chiarito ieri le sue posizioni: “Ho votato a favore del mantenimento dell’articolo 18 (emendamento 5s) e per introdurne le tutele nel contratto a tutele crescenti (emendamento Sel), per il superamento del decreto Poletti (emendamento Sel) e per contrastare il demansionamento, mentre mi sono astenuto sugli ammortizzatori sociali”. Contrario anche Stefano Fassina: “Per noi è uno strappo rilevante, perché noi siamo parte della maggioranza, ma non voteremo per questa delega. Non saremo un gruppo sparuto, ma un numero politicamente impegnativo. E non temiamo conseguenze disciplinari”.
Ma anche tra molti di coloro che si esprimeranno a favore del provvedimento, come Pierluigi Bersani, ex segretario del partito, non vi è assolutamente convinzione: “Voterò le parti che mi convincono con piacere e convinzione e le parti su cui non sono d’accordo per disciplina, avendo fatto per quattro anni il segretario del Pd”. Ha spiegato Bersani: “Siamo davanti a dei miglioramenti indiscutibili, di cui bisogna ringraziare i membri della commissione. C’è però un imprinting iniziale di queste norme che non convince”.
In ogni caso, conclude Bersani, “credo che ci sia da decidere l’equilibrio tra il buono che è arrivato dalla Commissione e l’impostazione di partenza. Ci saranno forse diverse sensibilità su questo punto che io non drammatizzo. Rispetto tutti”.
Appelli all’unità del partito
La possibilità che sul Jobs Act si arrivi a una spaccatura, i cui numeri sono comunque simbolici, trattandosi di un decimo della componente Pd alla Camera, ha spinto il presidente Matteo Orfini a fare un appello all’unità del partito: “Abbiamo raggiunto una larghissima unità sul testo, spero che per rispetto della discussione fatta, dei cambiamenti apportati, del lavoro di ascolto reciproco e della nostra comunità, si voglia fare tutti un ultimo sforzo in Aula”. Unità della quale è invece convinto il vicesegretario Lorenzo Guerini: “C’è un ampio consenso nel gruppo parlamentare, si sta dimostrando con i voti. Su un emendamento qualche deputato ha votato diversamente, ma senza incidere sul risultato, mi sembrano più posizioni di singoli che di aree politiche”.
Giri di valzer
Intanto, rispetto alle prese di posizione di alcuni componenti del Pd, che in precedenza avevano osteggiato il Jobs Act, come Cesare Damiano e Teresa Bellanova, è intervenuto Giulio Marcon, parlamentare indipendente di Sel e fondatore della campagna ‘Sbilanciamoci’, parlando sull’Huffington Post di “autentici giri di valzer – cui la politica italiana ci ha abituato da tempo – sotto la direzione d’orchestra di Maurizio Sacconi, l’autentico vincitore (insieme a Confindustria) del Jobs Act. Peccato che due ex sindacalisti spianino la strada a chi il sindacato l’ha sempre combattuto”.
GM