Bersani avverte Renzi: “Nessuna scissione, ma…”

Pier Luigi Bersani (AFP PHOTO / ALBERTO PIZZOLI -Getty images)
Pier Luigi Bersani (AFP PHOTO / ALBERTO PIZZOLI -Getty images)

Ieri si era espresso a favore del Jobs Act, approvato in seconda lettura alla Camera, motivando così la sua scelta: “Voterò le parti che mi convincono con piacere e convinzione e le parti su cui non sono d’accordo per disciplina, avendo fatto per quattro anni il segretario del Pd”. Oggi Pierluigi Bersani, ex segretario Pd, intervistato da ‘Repubblica’, non risparmia nuove, durissime critiche alla leadership del partito, in mano a Matteo Renzi, sostenendo: “Renzi non riconosce un problema, ha paura che se offre un dito poi qualcuno si prende tutto il braccio. Ma negare l’evidenza, non abbassarsi alla discussione può essere un pericolo ancora maggiore per lui”.

Fior di metafora dietro le parole di Bersani: “Può fare un volo dall’ottavo piano e il botto sarà ancora più grande. Il dato dell’astensione è agghiacciante e Renzi non dovrebbe temere nulla da un’analisi seria della situazione. Perché io penso che il messaggio di quegli elettori non sia ‘uscite dal Pd’, bensì risolvete tutti insieme”. Questa l’analisi del voto di domenica scorsa fatta dall’ex segretario, il quale precisa: “Il messaggio di quel voto o meglio di quel non voto per me è chiarissimo. Significa ‘restate lì. Noi elettori del Pd ci siamo come autosospesi ma non vogliamo andare da nessun’altra parte’. Non a caso le forze della sinistra alternativa prendono poco o niente, percentuali dello zero virgola”.

Per essere precisi, in Emilia-Romagna, Sel e la lista dell’Altra Sinistra, messe insieme, sarebbero intorno al 7%, fatto sta che direbbero gli elettori, almeno sentendo quanto dice Bersani: “Le cose cambiatele dentro al Partito democratico, è il senso di quella delusione profondissima e che nessuno dovrebbe sottovalutare. Per questo è ancora più grave che Renzi faccia finta di niente”. Si tratta, da parte dei cittadini, di “un messaggio intenzionale”, spiega l’ex segretario, che dice quindi: “Non pensiamo che la gente si sia distratta, perché quello è un posto dove gli elettori ragionano e fanno quel che hanno deciso di fare. Io li ho visti con le lacrime agli occhi scegliere di non votare”.

Il si al Jobs Act

Bersani torna poi sul voto alla Camera sul Jobs Act: “Ho votato a favore perché nessuno, nemmeno quelli che sono usciti dall’aula o che hanno detto no, nega i passi avanti che ci sono stati. È il discorso del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. In questo caso ci sono tutti e due”. La sua scelta, però, così come quella di altri componenti della minoranza interna, ha diviso però quanti nel Pd si erano schierati contro il Jobs Act: “Ci sono diverse sensibilità. Ho parlato con tanti di noi. Alcuni hanno problemi a mantenere ferma la barra dentro la loro area. Li capisco benissimo. Altri hanno problemi con i territori, con la loro base elettorale perché sono parlamentari che hanno un loro elettorato vero, autentico. Ma non mi sembra un dramma, ognuno fa quello che può per dimostrare al governo che sta sbagliando, che va corretta la linea”.

In conclusione, Bersani detta quella che a suo avviso sarebbe dovuta essere la vera sfida: “È stato tutto sbagliato fin dall’inizio. Ma spero che si possa dire ancora cosa bisogna fare, perché c’è tempo per correggere. La vera sfida al mondo del lavoro, sindacati compresi, doveva venire dal lato della produttività e quindi da una flessibilità dell’organizzazione aziendale, da una sfida sul tema decentramento e partecipazione. Avere invece affrontato cose minori come l’articolo 18 o altro, o avere creato un ulteriore canale che differenza la situazione dei lavoratori sullo stesso banco di lavoro è un approccio negativo”.

 

GM