Il regista Xavier Dolan ci parla di “Mommy”

MOM-sac-100x140 def lowIl film Mommy, vincitore del Premio della Giuria alla 67ª edizione del Festival di Cannes è candidato all’Oscar 2015 e durante la conferenza stampa di presentazione avvenuta a Roma il 28 novembre, abbiamo incontrato il regista Xavier Dolan. Ecco cosa ci ha svelato…

Come mai, partendo dal matricidio del primo film, c’è questa riabilitazione della mamma in “Mommy” e com’è che lei descrive questo rapporto madre/figlio senza una figura maschile, cioè un padre o un marito?

“J’ai tué ma mère” e “Mommy” sono due film diametralmente opposti, completamente diversi, a parte il fatto che sono io che li ho scelti e girati e che Anne Dorval recita in tutti e due film, ma il paragone finisce qui. “J’ai tué ma mère” si svolge in un mondo sociale, una classe media, un ambiente piuttosto confortevole con persone che vivono conflitti quotidiani piuttosto banali; la c’è una crisi adolescenziale, in Mommy invece è esistenziale. “Mommy” si svolge in una classe popolare, probabilmente anche lo strato più basso di questa classe sociale, potrebbe sembrare la storia di una madre e di un figlio che non si amano, perché incompatibili l’un l’altra, mentre invece è la storia di una madre e di un figlio che si amano troppo.

Il tono, lo stile, la realizzazione, la violenza: tutto per me in “Mommy” è molto più selvaggio, reale e crudele più di quanto non sia in “J’ai tué ma mère”. Per quanto riguarda la domanda sulle figure maschili, io sono cresciuto in mondo di donne e mio padre è stato piuttosto assente dalla mia vita, tra l’altro i miei hanno divorziato quando io avevo due anni e mia madre è andata a vivere nella periferia più profonda, quella dove abbiamo girato appunto “Mommy”. E anche quando vedevo mio padre in realtà sono stato cresciuto da mia nonna, mia madre lavorava tutta l’estate e io ho passato molta parte della mia vita in campagna, a tre ore e mezza da Montreal, dove viveva una mia prozia materna, quindi ho passato molta parte della mia vita ad osservare le donne e ad osservare le madri soprattutto, e credo che questo sia il tipo di cosa che definisce poi il tema su cui mi incentro maggiormente, sia dal punto di vista artistico che dal punto di vista del film. Sono questi i temi che ritornano poi nella mia opera, il tema della maternità. Per concludere la risposta alla domanda, non mi è mai capitato di osservare degli uomini lottare per una determinata posizione sociale, per un lavoro, per la famiglia, lottare punto e basta. Ognuno ha la propria storia, che sia uomo o donna; nel mio caso io ho visto quasi esclusivamente lottare le donne per arrivare ad una migliore posizione sociale, le ho viste piangere per amore, per gioia, per i propri figli, e poche volte ho visto gli uomini in quelle situazioni che mi interessano dal punto di vista della scrittura di un film, e quindi è stato naturale che attraverso le donne io esprima le mie frustrazioni o ciò che mi interessa.

Lei ha dichiarato che sua madre è stata, ed è, la fonte principale della sua ispirazione e quindi volevamo sapere cosa le ha ispirato e se considera un po’ concluso, da un punto di vista cinematografica, i film che parlano di sua madre.

Quando dico che mia madre mi ha ispirato questo è  vero, ma non significa che il film che ho fatto presentino il personaggio di mia madre. Il primo film è stato un film autobiografico in cui il personaggio era ispirato al 100% a mia madre, anche nel secondo e nel terzo film ho presentato dei rapporti tra madre e figlio, però il mio scopo non è fare dei film di tipo terapeutico per capire che rapporto ho con mia madre; io so benissimo che rapporto ho con lei, so come si è evoluto, so come è diventato in età adulta e come sarà in futuro, capisco benissimo mia madre. Io in realtà ho fatto film per capire altro, come la vita stessa.

Per quanto riguarda la figura della madre, ciò che mi ispira non è “mia madre” in se, ma la madre in genere, perché penso che sia un personaggio molto potente, molto ricco, che racchiude molte idee, molte emozioni, proprio dal punto di vista della sceneggiatura. Offre moltissimo proprio perché una donna ha compiuto molti sacrifici, quindi i personaggi femminili rimangono un veicolo di sceneggiatura molto interessante, perché sono più spessi e hanno una trama psicologica più interessante per via delle scelte che hanno fatto.

Quando scrive un film ha già in mente che tipo di linguaggio sceglierà e che tipo di lavoro c’è dietro alle sue scelte musicali, soprattutto per “Mommy”?

Spesso per me la musica arriva prima del film, ascoltando una canzone mi viene l’intuizione che questa mi ispiri una scena. Per mio parere personale, senza essere pretenziosi, penso che tutto sia musica in un film, anche i suoni, i silenzi, il dialogo, ogni particolare è come una nota che deve andare nel punto giusto. Quindi la musica di una canzone mi da emozioni prima ancora che io sappia in quale film la metterò. In “Mommy” sapevo che avrei usato il formato quadrato, era chiaro sin dall’inizio. Però non è che io sappia sempre quale tipo di linguaggio adotterò. Io mentre scrivo penso più al montaggio del film che alla regia, quindi quando sono sul set ho già una certa idea di come girare e rispettare quel montaggio che ho già in mente.

In quanto anche attore, come stabilisce il suo rapporto con i giovani interpreti dei suoi film e può definire compiuto il suo percorso di ricerca e d’ affermazione sessuale in “Mommy”?

La grande priorità della mia vita è la recitazione, sia che riguardi me come attore sia che riguardi i miei rapporti con gli attori, e quindi per me la mia grande passione è capire i diversi istinti, studiarli, esplorarli, per questo che amo farlo anche con i miei attori. Quando scrivo i testi li provo ad alta voce, in modo che poi quando li recitano escano fuori in modo naturale e reale. Per esempio con Anne Dorval, la protagonista di “Mommy”, sono andato da lei con lo script e abbiamo provato il dialogo. Lei mi dava consigli e poi con gli altri attori è successa la stessa cosa. In realtà non faccio tantissime prove con gli attori, facciamo delle letture, e per me è il momento più bello. Sentire i dialoghi che io ho scritto detti da altri è il momento più gradevole, cerco di individuare i punti deboli, e poi facciamo le prove, ma non molte. Cerco di trovare delle vie di mezzo, non voglio imprigionare gli attori in questi ruoli ma allo stesso tempo non voglio farmi trovare impreparato nella realizzazione. Io non direi che è una questione di ricerca di identità sessuale, è una ricerca di identità, punto. Sono personaggi che cercano un loro posto all’interno della società, non sono dei personaggi definiti per la loro identità sessuale. Ho letto e sentito dire che “J’ai tuè ma mère” è la storia di un figlio che annuncia alla propria madre di essere omosessuale, è come se io dicessi che è un film di un giovane di colore, non significa nulla. E’ la storia di un figlio che ha delle difficoltà a rapportarsi con la madre e a capirla. Poi per altre cose è anche omosessuale, ma non è quella la parte centrale del film. Tutti i miei film riguardano l’intolleranza sociale riguardo ai diversi, e sono diversi per altri motivi: per il temperamento, per le speranze che nutrono, per il loro modo di essere, ma non perché la loro identità sessuale è ambigua.

Nella sua formazione hanno influito in parte anche Fassbinder e Cassavetes?

In realtà non ho nessun tipo di formazione, ne nel campo della recitazione ne nel mondo cinematografico. Ho interrotto gli studi a 17 anni, quando i miei amici andavano ancora a scuola, quindi ho affrontato un percorso un po’ solitario. Quando ero bambino non vedevo film, nel vero senso cinematografico della parola, vengo da un ambiente popolare. Durante quel periodo di solitudine ho avuto un’esperienza fortunata, perché mio padre aveva un’amica sceneggiatrice e che mi ha insegnato tantissimo, come leggere cose diverse e imparato a vedere dei film come “Lezioni di piano” di Jane Campion o Wong Kar Wai, poi ho iniziato anche ad prendere in affitto dei dvd, pagando anche cifre enormi per i ritardi. Sono stati due anni e mezzo in cui ho imparato a guardare un cinema un po’ più sofisticato di quello a cui ero abituato prima. Diciamo che il mio vero istinto, quello più profondo, sono dei riferimenti più commerciali. I film degli anni ΄90, quelli che mi hanno cresciuto. I miei punti di riferimento per altri possono essere ridicoli, ma sono quelli di quando ero bambino, calcolando che ho cominciato a girare che avevo 18 anni, quando di norma un regista gira a 30 o 40 anni, e i suoi punti di riferimento erano i film che aveva visto a 20 anni, nel caso mio erano i film che avevo visto quando ne avevo 9 o 10. Quindi film come “Titanic”, “Batman – Il ritorno”, i film di Robin Williams, “Mamma ho perso l’aereo”, questi erano i miei riferimenti, io non credo che esista il cinema d’autore, il cinema commerciale, i film sono divisi in belli e brutti, punto e basta.

Sono film che fanno ciò che devono fare in termini di stile, e quando leggo una sceneggiatura cerco di agire  rispettando la scrittura e chiedendomi di cosa ha bisogno. Quindi non ho una formazione classica, penso che sia meglio parlare di ispirazione che di influenza, per esempio non ho mai visto nessun film di Fassbinder o di Cassavetes. L’ispirazione non so bene che cosa sia, è un po’ come il discorso del telefono senza fili, cioè quello che arriva in fondo è completamente diverso da ciò in cui si è partiti.

Il film è candidato all’Oscar per il Canada, cosa ne pensa? Ci dica qualcosa del futuro, se in un prossimo film ci sarà una figura maschile.

Sì, “Mommy” rappresenta il Canada nella corsa agli Oscar, io vado in giro con il mio film, incontro giornalisti americani, i membri dell’Academy, tutto questo è molto eccitante, poi accadrà quello che accadrà. Io vengo da un ambiente molto diverso, dal Quebec, non ha nulla a che vedere con quello che è Hollywood. Mi sono finanziato da solo i primi film, poi ho avuto la fortuna di andare a Cannes sin dall’inizio e quindi è tutto un altro sistema. Ho avuto anche la fortuna di avere buone critiche; sì per me Hollywood potrebbe essere una cosa interessante, la cosa mi eccita, comunque la cosa importante per me è che ho già scritto una sceneggiatura per fare un film negli Stati Uniti. E’ molto rassicurante a prescindere da questo futuro prestigioso, mi serve giusto a capire che io ho fatto tutto quello che potevo, poi se non arrivo neanche alla nomination ricadrò comunque in piedi e mi metterò a lavorare al nuovo progetto. Nel mio prossimo film il protagonista sarà maschile: è la storia di una star americana che vive le tribolazioni che da la celebrità se vivi a Hollywood, presento anche come le madri reagiscono e  gestiscono la celebrità dei propri figli, come questa abbia un impatto nella vita privata. Racconto anche lo scambio epistolare che hanno un attore, il mio protagonista di 30 anni, e un suo fan, un ragazzino di undici anni, e si scrivono in segreto. Il titolo del film è “The death and life of John F. Donovan e tra gli attori c’è Jessica Chastain, che pensiamo di tingerla di rosso (ride). Sì, ci sarà un posto per gli uomini, ma per i ruoli di padri ancora non ho nulla.

Mirko Lomuscio