Pantani: poliziotti di Rimini avviano querela per diffamazione

Marco Pantani (Pascal Rondeau / getty images)
Marco Pantani (Pascal Rondeau / getty images)

Nuovi sviluppi sul caso della morte del ciclista Marco Pantani, trovato senza vita in un residence di Rimini la sera del 14 febbraio 2004.
Il decesso fu attribuito ad un arresto cardiaco provocato da un uso eccessivo di sostanze stupefacenti.

Tuttavia, la scorsa estate su istanza della famiglia, la Procura di Rimini ha avviato una nuova inchiesta sulla morte di Pantani in cui viene ipotizzato il reato di omicidio volontario contro ignoti.
A causa della riapertura dell’inchiesta, cinque poliziotti che erano in servizio nel 2004 alla Squadra Mobile della Questura di Rimini, tra cui il vice questore Sabatino Riccio, che dirigeva la Squadra Mobile, il commissario capo Giuseppe Lancini, gli ispettori capo Daniele Laghi e Vladimiro Marchini e il sovrintendente capo Walter Procucci che indagarono sulla morte del “Pirata”, hanno dato mandato agli avvocati Moreno Maresi e Mattia Lanciani  di procedere in giudizio contro tutti coloro che hanno diffuso “notizie gravemente lesive” della loro reputazione.

“Non pare più possibile rimanere silenti e soprattutto continuare a tollerare un linciaggio mediatico che ha assunto proporzioni inaccettabili e che appare alimentato da strumentali e apodittiche ricostruzioni dei fatti, spesso accompagnate dalla diffusione di fatti manifestamente travisati”, sottolineano i legali spiegando che da quando è stata riavviata l’inchiesta “come in una sorta di racconto a puntate, sono state descritte importanti svolte investigative, tutte legate da un unico filo conduttore, che porta da un lato ad affermare come la morte dell’atleta romagnolo non sia avvenuta nei termini accertati nel corso dell’inchiesta già condotta dalla Procura di Rimini, e dall’altro ad accreditare con notevole enfasi la tesi dell’omicidio volontario”.
“In questo contesto – proseguono i legali- sono letteralmente piovute sugli inquirenti della Squadra Mobile di Rimini che all’ epoca indagarono sulla morte del celebre ciclista accuse di ogni tipo circa lo svolgimento di molteplici atti di indagine”.

“In tutto questo periodo gli allora appartenenti alla Squadra Mobile di Rimini (alcuni dei quali non più in servizio), nel pieno rispetto di una indagine ancora in corso, hanno mantenuto il silenzio”, affermano Maresi e Lanciani, spiegando che “di fronte al moltiplicarsi delle accuse, peraltro sempre propalate in toni sensazionalistici, con copertura mediatica che ha sin qui spaziato tra carta stampata, video, radio e web, non pare più possibile rimanere silenti e soprattutto continuare a tollerare un linciaggio mediatico che ha assunto proporzioni inaccettabili e che appare alimentato da strumentali e apodittiche ricostruzioni dei fatti, spesso accompagnate dalla diffusione di fatti manifestamente travisati”.

Inoltre è stato evidenziato come “sul piano umano la gogna mediatica a cui sono stati sottoposti gli investigatori, abbia ingiustamente provocato loro un profondo stato di amarezza, ampiamente mitigato dalla consapevolezza di aver svolto con senso del dovere, impegno e speditezza i delicati accertamenti di polizia sulla morte di Marco Pantani”.

C.D.