
Gli operai vivono in media cinque anni in meno dei dirigenti. E’ quanto emerge da uno studio presentato ieri a Roma durante un convegno organizzato dall’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e delle malattie della povertà (Inmp). I dati sono contenuti nel “Libro bianco sulle diseguaglianze in salute“, realizzato proprio allo scopo di contrastare le disparità in tema di salute determinate da povertà e differenze sociali. Un obiettivo che si prefigge il piano interregionale di Inmp 2013-2015.
Secondo lo studio, il rischio di morte aumenta con l’abbassarsi del titolo di studio. Rispetto ad un laureato, tra gli uomini, il rischio di mortalità cresce del 16% per un diplomato, sale al 46% per chi ha la licenza media, mentre si impenna al 78% per chi ha la sola licenza di scuola elementare. Anche per le donne accade lo stesso. I rischi riguardano sia la contrazione di malattie che la durata e la gravità della patologia. Ragione per cui, in media, un operaio si ammala di più di un dirigente di azienda e muore prima. Nel raffronto tra due uomini della stessa età, un dirigente ha un’aspettativa di vita di cinque anni superiore rispetto a quella un operaio non qualificato. Le aspettative di vita aumentano man mano che si sale sulla scala sociale. Povertà, mancanza di beni materiali, di conoscenze e reti di aiuto, accompagnate da un lavoro poco qualificato e dal rischio più elevato di disoccupazione oltre che dal basso titolo di studio sono tutti fattori che contribuiscono a rendere le persone più esposte ai rischi per la salute. I più poveri e meno istruiti si ammalano di più e più a lungo, rischiano di più la disabilità e muoiono prima. Queste disuguaglianze non solo affliggono i cittadini più deboli e li emarginano ancora di più a livello sociale, ma rappresentano anche un costo per i bilanci pubblici in termini di maggiore spesa sanitaria. Inoltre, lo studio stima che la cancellazione di tali disuguaglianze ridurrebbe del 25% le morti tra gli uomini e di oltre il 10% quelle tra le donne.
Guardando all’Europa, le disparità sociali in tema di salute sono più basse nei Paesi mediterranei, di livello intermedio nell’Europa continentale, mentre sono molto elevate nell’Est Europa. In Italia le disuguaglianze ci sono soprattutto al Sud. Secondo l’Inmp si tratta di differenze che possono essere corrette.
Le disuguaglianze rappresentano poi anche un freno allo sviluppo sociale ed economico di un Paese, perché obbligano all’uscita precoce dal mondo del lavoro, a causa delle malattie, di persone produttive. Si stima che la perdita in termini economici per maggiori malattie e rischi alla salute, tra riduzione della produttività, aumento di costi sanitari e assistenziali, si aggiri intorno al 10% del Pil. Ridurre le disuguaglianze nella salute, dunque non solo è giusto ed etico, ma anche vantaggioso dal punto di vista economico. Il “Libro bianco sulle diseguaglianze in salute” invita ad intervenire non solo nel campo dei servizi sanitari, ma anche e soprattutto sui meccanismi che producono le disuguaglianze.
C’è da chiedersi se in questi tempi di grave recessione economica, con elevati livelli di disoccupazione, basse retribuzioni e precariato diffuso, destinato ad aumentare in futuro, le disuguaglianze e le condizioni di salute dei cittadini non siano invece in peggioramento.
V.B.