
Il mancato rinnovamento del contratto di lavoro per i dipendenti della Pubblica Amministrazione è costato in media ai lavoratori la perdita “secca” di quasi 600 euro, per la precisione 583 euro in termini correnti, ovvero senza tenere conto dell’erosione degli stipendi dovuta all’inflazione, anche se nell’ultimo anno è stata bassa.
Il dato lo comunica l’Istat, che ha confrontato la retribuzione lorda media pro capite percepita dai dipendenti pubblici nel 2013 con quella che risale al 2010, anno in cui è iniziato il blocco dei contratti della Pubblica Amministrazione. La notizia è stata comunicata dall’agenzia Ansa. La riduzione degli stipendi è dovuta sia al blocco dei rinnovi contrattuali e allo stop agli scatti che al congelamento delle nuove assunzioni, con il blocco del turnover. Inoltre, i tagli alla spesa nella PA hanno portato molti lavoratori con gli stipendi più alti ad andare in pensione prima, appena maturati i requisiti, mentre i lavoratori della stessa fascia di età ma con retribuzioni inferiori sono rimasti in servizio.
Si comprende dunque la protesta dei sindacati, usciti insoddisfatti dall’incontro a Palazzo Chigi del 17 novembre scorso con il Ministro della Pubblica Amministrazione Marianna Madia, che aveva detto loro che nel bilancio dello Stato non ci sono i soldi per il rinnovo dei contratti nel 2015. I contratti non vengono più rinnovati dal 2009 e di rinvio in rinvio, in questi anni di crisi, il governo Renzi, dopo Monti e Letta, ha previsto una estensione del blocco fino al 2018. Gli statali dovranno pertanto aspettare un bel po’ di tempo prima che il loro stipendio venga adeguato al costo della vita, soprattutto alle tasse, visto che l’inflazione, almeno per ora, è bassa, ma non lo è stata sempre negli anni passati. Una decisione, quella dell’ulteriore rinvio del rinnovo, che aveva mandato in collera i dipendenti pubblici, sopratutto quelli delle forze dell’ordine che avevano minacciato anche azioni clamorose. “Nessuno perderà il posto per effetto della riorganizzazione della PA”, aveva assicurato Madia ai sindacati, come a dire: non faremo come la la Grecia, costretta dalla troika al licenziamento di 25.000 dipendenti pubblici, quindi accontentatevi. I sindacati, però, non si sono accontentati e dopo la Cgil, che aveva già proclamato lo sciopero generale per il 5 dicembre, anche la Uil ha deciso di aderire all’agitazione, fissando la nuova data dello sciopero generale al 12 dicembre. Insieme ai due sindacati sciopererà anche l’Ugl. L’occasione non è solo il mancato rinnovo del contratto degli statali, ma la protesta è anche contro i provvedimenti di Jobs Act e legge di Stabilità, duramente contestati. Si è defilata invece la Cisl, che ha preferito agire per conto proprio proclamando solo lo sciopero di categoria del pubblico impiego, che si è tenuto lo scorso 1° dicembre, seguito da tre giorni di manifestazioni nazionali a Firenze, Napoli e Milano. Da noi non solo protesta, ma proposta, aveva affermato la leader della Cisl Anna Maria Furlan, contestando le scelte degli altri sindacati, ritenute prevalentemente politiche.
V.B.