
L’inchiesta “Mondo di mezzo”, scoperchiando un calderone fatto di reticenze, accordi sotto banco e lotta per il potere, sta aprendo nel mondo politico e tra gli addetti ai lavori una riflessione su quali possano essere gli argini per frenare il malaffare che in maniera preponderante emerge e ottiene le prime pagine dei giornali ogni qualvolta la magistratura inquirente riesce a mettere insieme, tra mille difficoltà, i tasselli per costruire un impianto accusatorio. Ogni volta, come dimostrano anche le recenti inchieste su Expo2015 e Mose, sembra che l’opinione pubblica italiana caschi dalle nuvole, tornandosi a chiedere come mai, oltre vent’anni dopo Tangentopoli, nel nostro Paese parte della classe politica, un sistema di mafiosità diffusa e la corruzione imprenditoriale riescano a tessere tele così fitte e a creare sistemi di potere parallelo così congegnati.
Basterebbe però sentire le parole di Claudio Bolla, tra i soci della cooperativa 29 Giugno e stretto collaboratore di Salvatore Buzzi, il re delle coop romane finito in carcere, alla trasmissione “Piazza Pulita” per rendersi conto di come in realtà non esista un sistema di potere parallelo, ma un continuo tentativo di ‘infiltrare’ partiti e istituzioni in un certo senso approfittando anche di un vulnus creato dalle recenti modifiche al sistema di finanziamento pubblico ai partiti. Bolla ammette di essere stato tra i presenti alla cena di sottoscrizione per il Partito Democratico voluta da Matteo Renzi qualche settimana fa e tenutasi a Milano: “Eravamo io, Salvatore Buzzi, Carlo Maria Guarany [anch’egli arrestato nell’operazione ‘Mondo di mezzo’, ndr] e altri due che non hanno alcune cariche. Dato che si pagava mille euro a persona, immagino che abbiamo dato 5mila euro. L’unico dubbio che mi è rimasto è che però i tavoli costavano 10mila euro”.
“Renzi gli piaceva perché era decisionista”, dice ancora Bolla facendo riferimento a Buzzi, ma al di là del giudizio di merito sul presidente del Consiglio, ciò che scuote e lascia perplessi è la franchezza con cui si ammette la vicinanza a questo o quel politico, a seconda delle stagioni.
Rivedere le norme vigenti
Si apre, proprio in base a quanto accaduto nell’ultima settimana, un dibattito su quale possa essere – per così dire – l’antidoto al male profondo che affligge i sistemi di potere nel nostro Paese, quello appunto della connivenza con il malaffare. Su ‘Il Sole 24 Ore’, Costantino Visconti, docente di Diritto penale all’Università di Palermo, sottolinea come l’inchiesta romana porti alla luce la forza intimidatrice della “mafia silente” ma per nulla assente e spiega che in questo sta la vera questione: “Bisogna dimostrare che il sodalizio criminale disponga di una capacità effettiva di incutere timore e soggezione“.
Tra preferenze e voto di scambio si muove invece il presidente dell’Autorità anticorruzione, Raffaele Cantone, chiamato in causa da ‘Quotidiano Nazionale’: “Io non credo che le preferenze siano il male assoluto: accompagnato da un sistema di assoluta trasparenza dei finanziamenti, con la previsione di meccanismi di controllo reali e di sanzioni severe, questo meccanismo può essere bilanciato e reso quindi accettabile. Ma senza è oggettivamente un rischio“. In attesa di capire se vi sia stato voto di scambio, Cantone sottolinea la necessità di procedere “alla richiesta di commissariamento per gli appalti che risultano pilotati”.
Critiche a Renzi e Marino
Da più parti, intanto, non vengono risparmiate sui quotidiani oggi in edicola critiche al comportamento di Matteo Renzi, in particolare rispetto ad alcune frasi pronunciate ieri dal premier intervenuto in veste di segretario Pd all’assemblea dei Giovani Democratici. “Qualcuno, per favore, avverta Renzi che non è il capo dell’opposizione, ma del governo e della maggioranza. E che il Pd beccato con le mani nel sacco di Roma lo dirige lui da un anno“, scrive Marco Travaglio su ‘Il Fatto Quotidiano’.
Sottolinea l’editorialista: “Quando dice ‘schifo’, parla di se stesso e del suo partito, non dei gufi che stanno fuori. La responsabilità politica e morale è sua e dovrebbe scusarsi con gli italiani per non aver saputo bonificare per tempo il Pd, imbarcando tutto il vecchio establishment in barba alla rottamazione. Che, com’è ormai noto, è una truffa: perché non ha mandato a casa i pezzi più vecchi, più sporchi e più compromessi del partito, ma solo quelli che non si sono genuflessi al renzismo dominante”.
Su ‘Libero’, invece, Maurizio Belpietro attacca Renzi e torna a chiedere la testa del sindaco Marino: “Come può rimanere al suo posto un politico al quale la coop di Mafia capitale ha finanziato la campagna elettorale, ottenendo in cambio un immobile in ‘regalo’? L’ex ministro Scajola si dimise per la casa a sua insaputa. Perché il premier lo difende? Sappia che ogni italiano negli scorsi anni è stato chiamato a pagare i debiti della città eterna, ma quanto ancora dovrà pagare per un disastro che in larga parte porta la firma del Pd?”.
Sempre oggi, in un’intervista rilasciata al direttore de ‘La Repubblica’, Ezio Mauro, l’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno, è costretto ad ammettere: “Abbiamo fatto tante cose, ma non eravamo preparati a governare Roma”. Di fronte alle continue richieste e sollecitazioni, alle pressioni fatte alla politica perché “cambi verso”, troppo spesso fallimentari, Alemanno fa certamente bene a non sentirsi solo.
GM