
Un assembra nazionale, quella del PD, che verrà ricordata per le assenze. Non è all’hotel Parco dei Principi di Roma Massimo D’Alema che ha dichiarato di non avere alcuna intenzione di “farsi minacciare”da Renzi. Non c’è Pier Luigi Bersani. Un provvidenziale mal di schiena lo ha salvato da altre dolori, più pervasivi e meno gestibili. L’assembla non verrà ricordata per le parole del premier. E il solito Renzi quando si rivolge ai magistrati che hanno commentato le proposte del Governo contro la corruzione “Leggo numerose interviste di magistrati che commentano le leggi che stiamo facendo: vorrei ringraziarli, ma credo debbano parlare un po’ di più con le sentenze e non con le interviste”. E’ il solito Renzi quello che rivolge un pensiero ai Cinque Stelle – “Grazie al PD Grillo è sparito” e alle protese dei Forconi – “potrebbero andare solo a Chi l’ha visto”– . Non meno prevedibile la scelta di affrontare uno snodo delicato come il rischio scissione paventato da Pippo Civati inscenando la rappresentazione del comandante accerchiato dai traditori “Pretendo lealtà” e del leader che vede più lontano degli altri “Questo partito vuole bene all’Italia e non si accontenta di vedere i sogni dell’Italia stuprati da anni di mal governo e da politiche assurde. Stiamo affrontando la più gigantesca trasformazione. Voi siete qui non per discutere tra una corrente e l’altra. Siete qui per cambiare l’Italia”. Noto un certo richiamo all’Ulivo molto suggestivo e nostalgico – ha continuato – ricordo cosa diceva l’Ulivo sul bicameralismo, quello che non ricordo è come si possa aver perso 20 anni di tempo senza aver realizzato le promesse delle campagne elettorali. Noi stiamo realizzando quelle promesse”.
“Chi vuole cambiare segretario si metta il cuore in pace”
Una preambolo per giungere al solito affondo rivolto ai dissidenti del PD:”Non facciamo le riforme a colpi di maggioranza, ma non ci facciamo nemmeno bloccare le riforme dai diktat della minoranza. Non staremo fermi nella palude per guardare il nostro ombelico” sillabando l’ennesima sfida alla minoranza dem “Chi vuole cambiare segretario si metta il cuore in pace ha tempo da qui al 2017. Chi vuole cambiare il premier si metta il cuore in pace: ha tempo da qui al 2018”. La sorpresa vera è venuta dalla replica di Stefano Fassina che inizia constatando il silenziodel premier sullo sciopero generale.
Le parole di Stefano Fassina
“Milioni di lavoratori venerdì hanno perso una giornata dei loro stipendi per dire al governo che la politica economica che porta avanti non va bene. E’ grave che il segretario non abbia detto una parola sullo sciopero – ha affermato Fassina. “Significa che al PD non importa nulla di quelle persone che sono scese in piazza. Stiamo cambiando identità, stiamo cambiando funzione politica. Stiamo diventando il partito dell’establishment che mette in atto l’agenda della Troika, non il partito della nazione”. Fino a qui una replica dura, ma che Renzi aveva evidentemente previsto.
“Non ti permetto più…”
L’imprevisto è stato invece l’affondo, rivolto direttamente al Segretario: “A me pare che il presidente del Consiglio cerchi delle giustificazioni per arrivare al voto anticipato. Guardate io non ho l’eleganza di un Cuperlo o la dipolmazia di D’Attorre. Te lo dico con grande chiarezza, Matteo E’inaccettabile la delegittimazione morale e politica che ogni volta fai in queste sedi di chi ha posizioni diverse delle tue. Non sto in Parlamento per frenare, per boicottare, per gufare, per far fallire le riforme. Sto in Parlamento per esprimere il mio punto di vista, costruttivo come il tuo e come quello di altri. E non ti permetto più di fare le caricature di chi la pensa diversamente da te. E’ inaccettabile. La minoranza non fa diktat, la minoranza non cerca il Congresso anticipato, la minoranza non vuole far finire prima il Governo prima del 2018. La minoranza non fa diktat, noncerca il Congresso anticipato: se vuoi andare a elezioni dillo chiaramente, assumiti la tua responsabilità e e smettila di scaricare la responsabilità sulle spalle di altri”.
La rezione del Premier
Il premier, rimane attonito, irrigidito. Braccia conserte nella sua camicia bianca, che per una volta coincide con il colore della resa, almeno quella verbale. La replica infatti sarà blanda, quasi frastornata, rispetto allo schiaffo assestatogli da Fassina. Una sberla per la quale il deputato dem sembra aver preso una rincorsa lunga mesi da quando il premier dopo la presa del PD replico con sufficienza – “Fassina chi?” – ad una dichiarazione del collega di partito riferita dai giornalisti. Una battuta che dava la misura sul modo in cui Renzi intendeva gestire i rapporti con il dissenso interno e non solo quello.
La risposta arriva solo nel pomeriggio. Questa volta il premier non ha vuoti di memoria,. E’ molto cauto “Dobbiamo reciprocamente imparare gli uni dagli altri. Stefano ha un po’ urlato con l’atteggiamento di passione che gli riconosciamo. Io non sono affezionato a un principio di obbedienza. Credo che un partito sta insieme sulla base del principio di lealtà. Se ci sono degli argomenti di coscienza, non si usano per mandare sotto il governo. Non ha senso tornare a votare a ogni intoppo. Ha senso tornare al voto? Io dico di no”. Quindi la sfida delle elezioni non è raccolta, per ora. Del resto con i segnali lanciati da Civati prima dell’assemblea “Se si va alle elezioni, vedremo di creare qualcosa di diverso” e con la relazione fin troppo conciliante proposta all’assemblea bisogna pur fare i conti.
La replica dei magistrati
Un approccio polemico, quello del premier, che non deve fare i conti solo con l’ira di Fassina e l’apparente calma di Civati. C’è anche la pronta replica di Rodolfo Sabelli, Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati che all’invito rivolto dai Renzi ai magistrati di occupasi solo delle sentenze replica: “Parliamo per avere leggi migliori”. E continueranno a parlare, per fortuna. C’ è infatti il Procuratore Nazionale Antimafia che oggi sul Messaggero che critica le misure anticorruzione del Governo e non sembra per nulla irretito dalle parole del premier. Ed è una fortuna anche questa. C’è anche Massimo D’Alema che quando non c’è significa che è vicini come mai, a modo suo. Per questo il voto è lontano, sfortunatamente.
ADB