
Sabato scorso, in una nota, il deputato Umberto Marroni parlava di “aggressioni giornalistiche” nei suoi confronti, dettate “più dal clima di scontro di potere che si sta delineando con profili chiari sul futuro del Campidoglio, che dalla necessità di fare piena chiarezza su quello che è materia di indagine”. Non è però solo Marroni a rigettare le accuse nei suoi confronti nell’ambito dell’inchiesta sulla mafia nella Capitale; Micaela Campana, giovane deputata del Pd, rea di aver chiamato “capo” Salvatore Buzzi in un’intercettazione, è costretta oggi a difendersi in un’intervista al ‘Corriere della Sera’: “Difficilmente la mia vita tornerà a essere serena come lo era prima. Prima che il mio nome finisse sui giornali affiancato alla parola ‘mafia’, intendo“.
“Mi hanno infangata, minacciata, linciata. Sui social network qualcuno ha scritto che merito di essere stuprata” – denuncia la Campana – “Sto querelando chiunque, anche perché è l’unico modo che ho per difendere me, la mia famiglia e chi crede nell’onestà della politica. Tutto questo perché, in decine di migliaia di pagine di atti giudiziari su Mafia Capitale, sono citata due volte. Tanto è bastato perché certa stampa mi definisse come un mostro da sbattere in prima pagina…“.
Su quel “grande bacio” inviato al “capo” in un sms, la Campana sostiene: “Chiamo un sacco di gente così da quando ero ragazzina. Ci sono decine di persone che possono testimoniarlo”. In ogni caso, Buzzi chiedeva alla deputata di presentare un’interrogazione e la Campana sconfessa che quel “capo” fosse un atto di obbedienza: “Non ho mai presentato quell’interrogazione e ho chiesto agli uffici della Camera di metterlo nero su bianco. La prova? Qualora l’avessi fatto non sarebbe stata rigettata, visto che altri l’hanno presentata negli stessi tempi e sulla base del medesimo articolo di giornale”.
C’è un’altra intercettazione in cui il n.1 delle cooperative romane afferma: “E mò se me compro la Campana…”. Il tutto condito da una cifra, che sarebbe dovuta servire per una campagna elettorale, verosimilmente quella della giovane deputata: 20mila euro. Anche su questo punto la Campana invita a verificare: “Sarebbe bastato leggere la data della conversazione per capire che Buzzi non poteva riferirsi alla mia campagna elettorale. D’altronde, ero già stata eletta da tempo”.
La lettera di Marino
Da parte sua, anche il sindaco Ignazio Marino porta avanti una personalissima battaglia per dimostrare di essersi sempre mosso fuori da un certo tipo di sistema e comunque per il cambiamento della Capitale; tant’è che oggi ha preso carta e penna, replicando a un articolo di Sergio Rizzo sul ‘Corriere della Sera’, con tanto di lettera aperta al quotidiano di via Solferino: “Sergio Rizzo scrive che ‘sarebbe pure ingeneroso non riconoscere che il sindaco Ignazio Marino avrebbe voluto cambiare un sistema chiaramente assurdo, passando dagli affitti ai costruttori e alle coop a un contributo diretto alle famiglie bisognose, con un risparmio di una decina di milioni l’anno. Peccato che tutto sia ancora a bagnomaria’. Affermazione falsa”.
Sostiene Marino: “La confusione, il ‘sono tutti uguali’, alimenta proprio quelle mafie che si vorrebbero contrastare. I Residence sono nati nel lontano 2005 per far fronte alla crescente emergenza abitativa. Io li ho visitati in campagna elettorale. Alcuni mi sono apparsi come veri e propri lager. dove si vive anche in otto in pochi metri quadri. Ho dichiarato di volerli chiudere e li sto chiudendo, non solo per ragioni economiche, ma soprattutto per restituire dignità abitativa alle famiglie romane. Questo è il percorso seguito“.
La responsabilità è di tutti?
A questa domanda, sempre per il quotidiano milanese, ha provato a rispondere il sondaggista Nando Pagnoncelli, giungendo a delineare un quadro impietoso: tre italiani su quattro, senza alcuna differenza tra elettorato di centrodestra e di centrosinistra, sono convinti “che tutte le amministrazioni che si sono succedute a Roma negli ultimi anni abbiano le stesse responsabilità rispetto a quanto avvenuto, mentre il 14% attribuisce la colpa all’amministrazione di centrodestra guidata da Alemanno e il 3% a quelle di centrosinistra”.
Diversificato il quadro quando si cercano i rimedi al male: “il 32% propende per elezioni il prima possibile (in particolare gli elettori di Forza Italia: 65%), il 29% ritiene opportuno lo scioglimento del consiglio comunale e il commissariamento della Capitale (45% tra gli elettori grillini) e il 26% vorrebbe che si continuasse con il sindaco Ignazio Marino ma si procedesse ad un profondo rinnovamento della giunta e dei dirigenti comunali (49% tra gli elettori del Pd)”.
Quando poi si entra nel circo mediatico, non è raro trovarsi di fronte a siparietti come quello a cui si è assistito ieri a ‘L’Arena’, programma condotto da Massimo Giletti su Raiuno, nel corso del quale Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia e pronta a candidarsi sindaco non appena Marino cadrà, chiama alle sue responsabilità l’attuale primo cittadino, sentendosi rispondere da Alessia Morani, esponente del Pd: “La differenza tra Alemanno [che un anno fa ha aderito al partito della Meloni, ndr] e Marino è che il primo è accusato di associazione a delinquere, il secondo deve esser messo sotto scorta”.
Casson e le norme anticorruzione
Prosegue infine il dibattito sul ddl anticorruzione licenziato nei giorni scorsi dal governo Renzi; intervistato da ‘Repubblica’, il senatore democratico Felice Casson, che aveva già manifestato un certo dissenso rispetto alle nuove norme, è tornato a ribadire: “In commissione Giustizia sia della Camera che del Senato sono pendenti da vario tempo più ddl in materia di lotta a corruzione e concussione, e su falso in bilancio e prescrizione. E sono norme molto più precise e incisive di quelle prospettate ora”.
“In Senato ci siamo fermati, a giugno, al momento di votare gli emendamenti su richiesta del governo”, spiega Casson, che poi conclude: “Basterebbe votare quelle norme e il risultato sarebbe certamente più rapido e migliore”.
GM