Ilva a rischio: da gennaio stop a forniture gas da Eni

Ilva di Taranto (Photo DONATO FASANO/AFP/Getty Images)
Ilva di Taranto (Photo DONATO FASANO/AFP/Getty Images)

L’Ilva di Taranto, a fine anno, cesserà di ricevere forniture di gas: è quanto annunciato dall’Eni con un comunicato, nel quale si avvisa che, a partire dal primo ottobre scorso, l’azienda si trova “in regime di fornitura di default”, non avendo concluso accordi commerciali con alcuna compagnia.

Eni ha precisato e spiegato le implicazioni della sua decisione: “Tale regime ha una durata massima di 90 giorni. Eni ha provveduto 30 giorni prima della scadenza del servizio alla comunicazione formale di cessazione della fornitura di default. Resta ferma la possibilità per Ilva di individuare eventuali fornitori di gas a condizioni commerciali di mercato incluse adeguate garanzie di pagamento”.

Un procedimento a norma di legge, secondo il comunicato dell’ex Ente Nazionale Idrocarburi, che prima di ottobre non ha potuto “formulare una proposta commerciale” perché “il significativo rischio credito e la mancanza di un’adeguata garanzia da parte di Ilva sono condizioni che contravvengono i criteri commerciali che Eni applica a tutti i suoi clienti gas. Questo è in linea con quanto avviene nel settore gas in Italia ed in Europa per forniture di questa importanza ed è a tutela dell’azienda e dei suoi azionisti, in particolare in quanto azienda quotata”.

Dal presidente di Confindustria Taranto, Vincenzo Cesareo, arriva la concreta preoccupazione che questi segnali possano portare ad un graduale smantellamento dell’Ilva di Taranto: “Mai si era verificato, prima d’ora, che l’azienda operasse la messa in sicurezza degli impianti così come sta accadendo in questi giorni, preannunciando di fatto un fermo complessivo. E tutto questo, nel silenzio più generale e assoluto”. Inoltre, sussiste un altro aspetto che “è per certi versi ancora più controverso: la condizione attuale nasce infatti dall’annunciata messa in mora dello stabilimento da parte dell’Eni per i pagamenti futuri, come se si trattasse di un condomino a rischio di morosità di un qualsiasi edificio privato, e non della più grande acciaieria europea. Accade così che L’Eni, partecipata dal Ministero dell’Economia e Finanze, chiuda i rubinetti ad una grande azienda che è già da tempo commissariata dal Governo con un apposito decreto convertito in legge: appare, a tutti gli effetti, come il gatto che si morde la coda”. Infine, Cesareo esplicita il suo timore, ossia che “in attesa dell’imminente decreto attraverso il quale dovrebbero essere definite le sorti dell’azienda, si corra seriamente il rischio di risolvere la questione attraverso le vie di fatto dello spegnimento pressoché coatto, che è quello che si sta paventando in queste ore”.

Sulla questione si è espresso anche il ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi, per la quale non vi sarebbero le condizioni, ora come ora, per la cessione dell’azienda a dei privati: anzi, ha spiegato la titolare del Mise, “ora abbiamo bisogno di un accompagnamento con un veicolo pubblico per un periodo sufficientemente lungo a rimettere l’azienda sul mercato perché il sito è efficiente dal punto di vista industriale. Questo periodo deve essere di una durata congrua, in futuro invece credo sia ancora assolutamente valutabile l’ipotesi di un investitore industriale”.

Ap