
C’era attesa per la decisione della Federal Reserve sui tassi di interesse statunitensi. A seguito del miglioramento della situazione economica americana, con il calo della disoccupazione e la crescita di produzione industriale e Pil, molti analisti si aspettavano una decisione al rialzo, dopo anni di politica monetaria espansiva, con l’immissione di ingente liquidità di denaro per contrastare la crisi economica (il contrario di quello che sta facendo l’Unione europea, che con le politiche di austerity ha aggravato la recessione). Il momento anche se più favorevole è tuttavia ancora delicato (la ripresa economica mondiale ha rallentato), pertanto la decisione della Federal Reserve e della sua presidente Janet Yellen è stata orientata alla prudenza.
I tassi di interesse, dunque, sono stati lasciati invariati, tra lo zero e lo 0,25%. Non solo, la Banca centrale Usa ha fatto sapere che i tassi resteranno bassi per un “considerevole periodo di tempo” e che la Fed stessa sarà “paziente nell’iniziare a normalizzare l’orientamento della politica monetaria”. Comunque, un rialzo dei tassi è previsto per il 2015, forse ad aprile.
Sull’andamento dell’economia Usa la Fed ha affermato: “Le informazioni ricevute da ottobre suggeriscono che l’attività economica si sta espandendo a un tasso moderato. Le condizioni del mercato del lavoro sono ulteriormente migliorate” e i “rischi all’outlook per l’attività economica e il mercato del lavoro sono quasi bilanciati”. Riguardo all’inflazione, questa è ancora sotto l’obiettivo del 2% (come in Europa), ma, avverte la Fed, “salirà gradualmente” con il mercato del lavoro che “migliorerà e gli effetti transitori dei bassi prezzi dell’energia che si dissiperanno”. Per la Banca centrale Usa i tassi potranno dunque restare tra lo zero e lo 0,25% per “periodo considerevole di tempo dopo la fine del piano di acquisti di asset, soprattutto se l’inflazione continua a restare sotto il 2%”.
Comunque, ha precisato la Federal Reserve: “Se le informazioni indicheranno progressi più veloci verso gli obiettivi dell’occupazione e dell’inflazione, un aumento dei tassi potrebbe avvenire prima del previsto. Al contrario, se i progressi saranno più lenti, l’aumento potrebbe avvenire più tardi di quanto previsto”.
In merito al crollo del prezzo del petrolio, Janet Yellen ha dichiarato che si tratta di “uno degli sviluppi più importanti per la formazione delle prospettive economiche mondiali” e che rappresenta un fattore “nettamente positivo” dal punto di vista degli Stati Uniti. Come già aveva dichiarato nei giorni scorsi il segretario al Tesoro americano, gli Usa sembrano dunque ostentare sicurezza e non temere la decisione dell’Opec, imposta dai Paesi arabi, di non tagliare la produzione petrolio per alzare i prezzi, danneggiando di fatto lo shale oil americano, la cui estrazione è molto più costosa di quella del greggio tradizionale.
Nel frattempo, gli Stati Uniti sono diventati nel 2014 il primo produttore mondiale di petrolio, grazie al forte aumento della produzione di shale oil. Con 11,7 milioni di barili al giorno gli Usa hanno superato la Russia, al secondo posto con 10,9 milioni di barili al giorno, mentre l’Arabia Saudita è terza con 9,5 milioni di barili.
V.B.