
La contesa tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e Fetullah Gulen potrebbe giungere ad un punto di svolta. Un procuratore di Istanbul ha chiesto infatti alla magistratura di emettere un mandato di cattura nei confronti del predicatore islamico, ex imam di Smirne, in esilio volontario negli Stati Uniti dal 1999. Gulen è ormai il principale avversario politico di Erdogan. Secondo gli inquirenti sarebbe “il leader di un’organizzazione criminale che si è infiltrata nei media, nell’economia e nella burocrazia violando leggi e regolamenti”. L’organizzazione cui fa riferimento la procura è Hizmet un movimento di attivisti che opera nella società’ civile turca dagli anni ’60 e che conta milioni di sostenitori nel mondo. Hizmet si dice ispirato dai valori dell’Islam moderato. Per altri è un centro di potere che tende a islamizzare la società’ turca dall’interno, agendo indirettamente sulle istituzioni. Gulen, considerato dal Time una delle 100 persone più influenti del 2013, ne è il leader. Secondo i sostenitori di Erdogan e secondo lo stesso presidente lo sandalo del dicembre 2013 che aveva coinvolto il partito al potere, toccato tre ministri e il figlio di Erdogan, Bilal, scosso il governo nasceva da un tentativo di rovesciare le istituzioni. A tramare, con la complicità di parte dell’apparato turco, sarebbe stato proprio Gulen capace di creare uno stato parallelo.
La reazione di Ankara
La reazione di Ankara non si era fatta attendere: rimossi in poche settimane 7mila dirigenti e funzionari della pubblica sicurezza e 200 magistrati. Lo stravolgimento nell’apparato ha coinvolto alcuni giudici titolari delle inchieste sul governo. L’Akp, il partito del presidente, si era mosso anche sul fronte legislativo varando una riforma della Giustizia che di fatto consente un controllo su procuratori e giudici. A fine marzo del 2014 l’Akp vinceva le amministrative con Ankara che procedeva a revocare il passaporto verde a Gulen, segno distintivo degli appartenenti alle elites del Peese. Il mese dopo Erdogan annunciava l’offensiva contro l’avversario: “Avvieremo l’iter per l’estradizione di Gulen” aveva detto. Un annuncio quasi fine a se stesso, giacché il leader di Hizmet non era sotto processo in Turchia. Ma Ankara aveva accolto più di dieci richieste di estradizione da parte di Washington e rivendicava un pari trattamento. L’ambasciatore americano in Turchia, Francis Ricciardone, aveva avuto con Erdogan uno scontro durissimo per le pressioni ricevuto volte al rimpatrio forzato del predicatore, L’ambasciatore americano rivendicava, tra l’altro, la mancanza di richieste ufficiali da parte della Turchia. Un argomento capace di troncare ogni discussione: la magistratura turca non aveva emesso alcun mandato d cattura su Gulen: come poteva chiederne l’estradizione. Ad agosto le elezioni presidenziali che hanno portato Erdogan a capo dello Stato.
Gli arresti del 14 dicembre
A dicembre un’accelerazione dello scontro, che sembrava puntare dritto al leader Hizmet, con la polizia che ha arrestato esponenti politici e giornalisti legati a Gulen. L’operazione coinvolgeva 13 città turche; i provvedimenti erano diretti ad almeno 32 persone. Dinanzi all’operazione la portavoce della Commissione Ue, Maja Kocijancic, leggeva e il messaggio congiunto di Federica Mogherini, Alto rappresentante Ue per la Politica estera, e Johannes Hahn, commissario Ue alle Politiche di vicinato in cui l’operazione era additata come incompatibile con “i valori e gli standard dell’Europa cui la Turchia aspira a far parte”. Il Dipartimento di Stato americano, attraverso il portavoce Jen Psaki, aveva detto, riferendosi agli arresti: “Libertà dei media, processi regolari e indipendenza del sistema giudiziario sono elementi chiave in ogni democrazia sana”. Erdogan aveva invitato la Ue a “farsi gli affari propri”. Nessuna replica agli Usa che invece degli affari turchi dovrà occuparsi giocoforza a breve. L’assenza di un mandato di cattura, che l’ambasciatore oppose ad Erdogan per negare l’estradizione di Gulen potrebbe essere una mancanza a cui Ankara saprà rimediare a breve. I giudici non hanno ancora risposto alla richiesta della Procura. Se dessero l’assenso si aprirebbe a quel punto un’altra contesa, tra Ankara e Washington, con tutte le ripercussioni che questa potrebbe avere sugli equilibri politici e militari di quella parte del Medio Oriente, con la Siria ad un passo e Kobane ancora meno.
ADB